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La violenza alla Terra comincia con il colonialismo

Intervista ad Amitav Ghosh

Amitav Ghosh è scrittore, giornalista e antropologo indiano. Nato a Calcutta, attualmente vive tra la sua città natale e New York. Il suo ultimo libro, dal titolo italiano “La maledizione della noce moscata. Parabole per un pianeta in crisi”, edito da Neri Pozza, racconta di una delle più terribili storie di colonialismo e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sull’ambiente: lo aterminio messo i atto nell’aprile del 1621 dai coloni olandesi, a Selamon, un villaggio nell’arcipelago ndonesiano delle Banda, dove cresce la pianta della noce moscata, il cui monopolio era conteso tra le grandi potenze coloniali europee.

Amitav Ghosh, lei ha scritto che “tutto è iniziato con il colonialismo, quando abbiamo iniziato a fare violenza alla Terra”. che cosa significa? E a che punto è oggi questa violenza? Siamo pronti ad una inversione di rotta?

In questo particolare momento penso non ci sia questione più pressante e più urgente di quella ambientale, considerando anche quello che è accaduto in Emilia Romagna e altrove in Italia: le incredibili alluvioni i grandi rovesci d’acqua testimoniano che non c’è argomento più impostante. Mi rallegra e mi rincuora venire a sapere che secondo certi sondaggi ormai il 75% degli italiani pensa che quella del cambiamento climatico sia la questione più importante e più urgente con cui bisogna fare i conti. Mi sembra infatti che finalmente tutto il mondo si stia svegliando e si stia rendendo conto di ciò a cui stiamo assistendo e degli eventi climatici che impattano così duramente sull’ambiente che ci circonda.

Che rapporto c’è tra giustizia sociale e giustizia ambientale?

È un tema molto importante. Il nesso è palpabile: penso che attualmente l’obiettivo più importante da perseguire sia cercare di creare un modello di giustizia climatica globale, che significa creare un mondo dove non esistano più le disparità, i colossali di vari di reddito,di introiti, di standard di vita che contraddistinguono il nostro mondo di oggi, perché una cosa è certa: sin tanto che coloro che vivono al di fuori del continente europeo, o di quello che comunemente chiamiamo “Occidente”, continueranno a vivere in povertà, non accetteranno mai nessun tipo di accordo che imponga loro di ridurre le emissioni di gas e di inquinanti che impattano sull’ambiente. Se vogliamo cioè un mondo in cui si riducano le emissioni di Co2 e in cui la nostra impronta di carbonio sulla Terra si ridimensioni, se questo è davvero il nostro obiettivo, allora lo dobbiamo perseguire tutti insieme, altrimenti non ci sarà rimedio: semplicemente non riusciremo a raggiungerlo.

Occorre cambiare il modello di sviluppo…

Esattamente. In realtà quello che abbiamo oggigiorno non lo chiamerei neanche “sviluppo”: ciò che stiamo vedendo accadere sul piano economico in tutto il mondo che è semplicemente più inabitabile… come  si fa a chiamare tutto ciò sviluppo? O progresso? Come si fa a usare queste parole se il pianeta è attualmente proiettato su una traiettoria che lo avvicina in fretta al disastro assoluto?

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