Da Padroni a Ospiti della Terra
È notte buia, ma non riesco a dormire. Ricordi d’infanzia tornano a galla nel silenzio della mia stanza. Vedo i grandi pini scheletrici coperti di bianco, fuori dalla finestra. Il vento soffia forte e fa tremate gli alberi. La neve sta cadendo da più giorni sulle lande desolate del grande altopiano, dove prima c’erano i vulcani. Avevo cinque anni, e questa era la mia terra. non ne conoscevo altre. Allora, la natura era incontaminata. Lo capivi quando aspiravi l’aria fredda che ti riempiva i polmoni di pura forza vitale. la neve rimaneva immacolata per settimane. Tutto era fermo. Nelle case bruciava la legna nei camini, e il fumo che usciva dal tetto creava folli disegni ballerini. Stavo ore a contemplare dalla finestra lo spettacolo sempre rinnovato degli elementi primordiali: la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco.
Arrivava la primavera in un tempo dove ancora esistevano le stagioni. Allora la neve cominciava a sciogliersi, l’acqua cantava giù lungo i rami e i tronchi dei vecchi pini. Le stalattiti cadevano dalle grondaie, e bisognava stare attenti a non prenderne sulla testa. Calzavo i miei stivali e andavo in giro per la foresta e le praterie a cercare i primi fiori che timidamente sbucavano da sotto la neve. Sentivo i canti degli uccelli, felici di dare il benvenuto alla fine dell’inverno. Stavo ore fuori casa, e mia madre non si preoccupava. Tornavo bagnato e felice e mi riscaldavo al fuoco sempre acceso del camino. Questo era il mio mondo, questo il mio rimpianto.
Poiché poi, non ho più trovato pace nella vita. Lasciando le campagne desolate lassù dove nasce la Loira, sono andato a vivere in un mondo affluente, pieno di macchine, aggeggi, invenzioni varie, ritmi veloci, rumori permanenti, attività frenetiche. Ho imboccato l’autostrada dei sogni materiali, dei piaceri artificiali, della corsa al successo. Non ho preso il tempo di fermarmi, di guardarmi intorno, di chiedermi se tutto questo aveva un senso e valeva la pena. Così, non ho visto la natura piegarsi alle leggi bieche del progresso. Non ho capito che stavamo segando il ramo sul quale eravamo seduti. Riempiendo il secchio della spazzatura, non ho pensato a tutto questo spreco e dove andava a finire. Partecipavo attivamente alla follia rapace e distruttiva che chiamiamo modernità. Ora, il grande orologio della fine del mondo sta contando gli ultimi minuti.
Come siamo arrivati a tutto questo?
La superbia della specie umana ha radici che si perdono nella notte dei tempi. Probabilmente nasce quando quel fragile bipede che è l’uomo ha ammazzato il primo animale più grande o più veloce di lui. Quando ha usato il suo cervello per capire come rendere un sasso appuntito al fine di scavare e uccidere. La natura faceva paura, certo. Allora questa idea primordiale di assoggettarla ai propri bisogni e utilizzo ha dato il via all’arroganza di specie. L’uomo ha creduto di essere superiore alle forze naturali, di poter dominare il mondo. Di essere il padrone della vita. Poi si è inventato divinità varie per una narrativa che rafforzava questa superbia. Fino ad arrivare al dio unico e onnipotente che avrebbe creato la vita e il mondo a uso e abuso dell’uomo. Che sciagura. Oggi, stiamo pagando il prezzo alto di questa arroganza di specie, guardando, imperterriti, la Terra agonizzare. È dura immaginare una vita di salvezza, oggi come oggi. L’inerzia del modello di organizzazione del mondo umano, basato sul mito della crescita economica infinita – e quindi dell’assalto alle risorse naturali, che non sono infinite – lascia ben poco sperare per l’avvenire. Non mi do pace di fronte all’aggressività dello status quo. Ogni tentativo di disertare, di dimissionare, di rifiutare questo modello, viene ucciso sul nascere. Fai un passo fuori dal sistema e una grande mano invisibile ti ci ricaccia dentro. Il mondo è pieno di sognatori azzoppati, idealisti amareggiati, cuori rinsecchiti per avere osato inseguire un altro modo di vivere. Allora non è forse disperazione questa utopia di raddrizzare la barca, prima del tonfo finale? Forse… ma è la nostra unica chance. Abbiamo raggiunto l’apice dell’assurdo: partecipare attivamente, giorno dopo giorno, al suicidio della specie umana; lasciare che le cose diventino sempre peggio, coscienti che c’è un punto di non ritorno ( che abbiamo forse già raggiunto…). Ma non è detto che proprio l’assurdo non ci possa guidare verso un domani meno nero, meno pauroso, meno orribile. Albert Camus mi ha insegnato che una risposta all’assurdo è quella di vivere non il meglio, ma il più possibile. Bisogna ripartire dalla vita, da quel fantastico regalo che è la vita. E per fare questo, un lavoro enorme ci aspetta. Si tratta di smantellare secoli e secoli di indottrinamento mentale, filosofico, religioso. Si deve fare pulizia di tutte le teorie, i condizionamenti, i luoghi comuni, i conformismi, i riduzionismi, le definizioni castranti che caratterizzano il pensiero dominante. La parola guida è libertà. Dobbiamo essere liberi di scegliere un’altra via, dalla violenza, dalla sopraffazione. Liberi di immaginare altri rapporti umani, fuori dalla religione del denaro. Liberi di saltare muri, di abbracciare i nemici, di deporre le armi.
Se non facciamo prima pace fra noi uomini, non potremo mai fare pace con la Natura.
Mentre si prova a trovare rimedi per i guasti del modello economico che sta minacciando il Pianeta, si continua a fare la guerra. Impossibile che si raggiungano risultati convincenti in questo quadro. Madre Terra non chiede di inventare chissà quale nuova tecnologia per pulire il casino che abbiamo combinato, lei chiede solo di smettere di farci del male a vicenda. Costruendo la pace fra noi uomini a tutti i livelli, si potrà cominciare a riappacificarci con la natura. Gli ingredienti sono gli stessi: il rispetto, l’ascolto, l’accompagnamento, l’empatia, la curiosità, la meraviglia, l’affetto, la gioia di vivere. Che tristezza pensare che nel nostro mondo attuale, queste parole sono vittime del cinismo dominante. Eppure, è da lì che si deve ricominciare. Dobbiamo abbassare le nostre (ingiustificate) difese. Aprire gli occhi, le orecchie, le braccia e il cuore. Osare, rischiare, buttarsi a perdifiato.
Sempre di libertà si tratta.
Ora, se la crisi planetaria è un dato oggettivo, l’approccio per attenuarla non può che essere soggettivo. E quando parlo di soggetti, parlo di tutti i soggetti: noi individui, le famiglie, le comunità, gli imprenditori, gli agricoltori, le fabbriche, le collettività, i vari livelli di governo, etc. siamo tutti chiamati a cambiare rotta, a fare un esame di coscienza,, e darci una nuova visione della società umana. Non si tratta ormai di aggiustamenti al modello dominante. Questo modello ci è sfuggito di mano. È il caso di abbandonarlo. Ma non spaventiamoci. Abbiamo presente la quantità di cose superflue che riempiono le nostre case, le nostre vite? Una cura materiale dimagrante non può che farci del bene. Così come i nostri consumi di energia di ogni sorta. Se riducessimo la nostra fame, la nostra sete di energia, non ci faremmo ingannare da un’ulteriore dose di sviluppo tecnologico e industriale. Che alla fine non fa altro che creare nuovi mercati, nuovi ricchi, nuove ingiustizie, nuovo inquinamento. Giriamo i tacchi piuttosto. E cominciamo a camminare più lentamente, senza angoscia né frenesia. Alziamo la testa, annusiamo il vento, ricominciamo a fare parte della natura, a seguirne i ritmi ancestrali. Per troppo tempo l’umo si è dato l’imperativo di dominare Madre Terra, in una folle visione di comandante del destino. E guardate dove ci ha portato. Ora, non c’è più tempo da perdere. Anche se non sappiamo se è già troppo tardi, l’onestà intellettuale ci obbliga a mettere in discussione i pilastri di una visione della vita infondo assassina, mortifera, e ormai inutile. La buona notizia è che se noi smettiamo il nostro approccio vorace e sfruttatore della natura, Madre terra è là che ci aspetta con la sua incommensurabile ricchezza e bellezza. Sembra assurdo dover riscoprire la centralità della biodiversità, il contributo di ogni forma di vita nel comporre il grande mosaico intricato dell’esistenza. Come abbiamo fatto ad andare così lontano alla deriva? A inseguire chimere così diaboliche? A perdere il senso profondo della vita? Ora tocca risvegliarci dal torpore che ci ha assorbito per troppo tempo, facendoci credere di essere i padroni della Terra. tocca imparare ad essere i suoi ospiti. Noi facciamo parte della natura, della biosfera, come ogni altra forma di vita. Non ci sono graduatorie d’importanza, classifiche di utilità, scale di merito, fra i diversi esseri viventi che compongono l’intricato disegno dell’esistenza terrestre. Siamo tutti legati da invisibili fili vitali che si estendono dal più profondo della nostra anima al firmamento più lontano, all’orizzonte irraggiungibile. Fili invisibili che ci danno emozioni, sensazioni, intuizioni. Che ci scombussolano, che ci stregano, che ci invitano al grande ballo liberatorio. In fondo, si tratta di fare una grande pulizia interna. Togliere, una per una, tutte le false certezze che ci hanno inculcato per farci credere forti. Non siamo forti, siamo fragili: non siamo vincenti, siamo vulnerabili; non abbiamo i controllo del mondo, siamo un granello di sabbia sulla spiaggia della vita, una goccia nell’oceano. Ma è proprio questa realizzazione, l’inizio della liberazione. Siamo un granello sì, ma siamo anche la spiaggia; siamo una goccia, va bene, ma siamo anche l’oceano. Siamo niente e siamo tutto…
Abbandonare la superbia di specie, ci permette di entrare in modo dolce a far parte del tutto. Ad essere coscienti della nostra appartenenza ad un mistero immenso, indefinibile. E non andare in panico per questo. Lasciare che questo mistero ci faccia da compagno lungo le strade tortuose della vita. Smettiamo di dare spiegazioni e definizioni ad ogni cosa che vediamo intorno e dentro di noi. Non servono per godersi questo privilegio che è di vivere la vita il più possibile. Di sentirla nelle nostre viscere, nel nostro cuore, nella nostra testa. Adesso, dobbiamo imparare ad essere buoni ospiti della Terra. a rispettare tutte le forme di vita. A stare attenti l richiamo delle forze naturali. A limitare i danni inevitabili, ad aumentare i gesti virtuosi. Ci tocca fare la nostra parte, fare una mano, prestare attenzione, essere disponibili e affidabili, e crederci. Chi l’ha detto che dobbiamo soffrire, se lasciamo perdere questo nostro modo di vivere attuale? Vuoi vedere che un giorno, gireremo la testa per guardare indietro, a dove abbiamo abbandonato l’aggressione a Madre terra, e dove abbiamo imparato a viverci in pace, e ci chiederemo perché abbiamo aspettato così tanto a farlo.
Dai Zorba, prendi il bouzouki, dai che iniziamo il ballo della vita!
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