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La torre di Babele

La torre di Babele è raffigurata interrotta, lasciata incompiuta. Nel breve corpo del testo scritto, invece, è completata. Suo fallimento non sta nella mancata mole, ma nell’intento dei costruttori di arrivare in cielo.

Malgrado l’insuccesso la specie umana raccolta dopo il diluvio nella valle di Scin’ar prosegue a costruire la città alle pendici della torre. A questo punto la divinità interviene con la dispersione tramite la moltiplicazione delle lingue.

Poteva fare l’opposto, ammutolire quella unica usata. Invece ne aggiunge, diramandole dal tronco. Ne arricchisce la dote, le capacità dell’espressione. Perché la specie umana si era ridotta a una sola impresa, favorita da un solo vocabolario. Equivaleva a un alveare, a un formicaio.

“E disperse Iod loro da lì sopra volti di tutta la terra. e smisero di costruire la città”. (Bereschìt/Genesi 9,8).

La dispersione rende inestirpabili, adattando la specie umana a qualunque habitat, deserti e ghiacci, foreste e paludi.

Succedono periodicamente grandi migrazioni. Si staccano masse umane dalle loro residenze sotto necessità impellenti, superiori alla comodità di stare.

Dura almeno una generazione lo strappo di ogni migrazione. Dura il tempo di apprendere una nuova lingua dai figli nati sul nuovo territorio. Le generazioni seguenti completano l’assimilazione.

Da pochi decenni l’Italia è terra di destinazioni. Nascono figlie e figli di immigrati, eccellono in vari campi, compreso lo sport che è il più spettacolare.

Con loro si rinnovano le fibre della nazione più invecchiata del mondo, dopo il Giappone. Il primato alla rovescia indica un inizio di estinzione. Non ci si è abituati alla nuova composizione demografica. Si manifestano impulsi di rigetto che premiano promesse politiche di destra. Come se potessero arginare e riportare indietro la corsa del tempo. Il futuro procede nella direzione opposta dell’attecchimento dei flussi migratori nei territori raggiunti.

Le storie della nostra precedente migrazione dimostrano che nessuna ostilità, avversione incontrata, ha potuto scoraggiare, rimandare indietro. I nostri emigranti hanno lastricato di corpi le strade del nuovo mondo, pagato tutto quello che c’era da pagare compresi gli interessi, ma sono riusciti a impiantarsi e far prosperare il luogo di destinazione.

La dispersione inaugurata nella vallata di Scin’ar fu necessaria, e tale ancora resta.

Le scritture sacre non servono a rilasciare pronostici sul tempo presente, almeno non per me. In loro trovo invece caratteri costitutivi di esperienze umane che hanno pensato in grande e progettato a lunga distanza il loro futuro.

Al presente in corso invece manca la spinta del passato, che è un’onda che spinge alle spalle e permette di gettare uno sguardo davanti dalla sommità di cresta sollevata.

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