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Mamma Africa e l’origine dei diritti umani

Quando si interroga sull’origine dei diritti umani, di solito si cita l’anno 1789 e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, approvata dall’Assemblea francese dopo la rivoluzione come pietra base.

A fronte di questo riferimento ci sono due storie contemporanee che sembrano stravolgere questa teoria.

Da un lato, la scrittrice francese Olympe de Gouges ha scritto, appena nove giorni dopo la dichiarazione, un testo che la parafrasa ma incorpora la donna. L’ha intitolata Dichiarazione Universale dei Diritti della Donna e della Cittadina”. Nel suo primo articolo dice: “La donna nasce, rimane e muore libera, proprio come l’uomo di diritto”. Olympe de Gouges fu condannata a morte in un processo sommario e ghigliottinata da uomini nel 1793.

L’altra storia è accaduta in America. Per regolare i rapporti degli schiavi nelle colonie, Luigi XIV approvò il Code Noir (Codice Nero), uno strumento giuridico che stabiliva che gli schiavi neri avevano lo status di cose mobili. Una persona distratta potrebbe pensare che, se nel 1789 fu abolita la monarchia in Francia e si dichiarò l’uguaglianza tra uomini, anche gli schiavi delle colonie Francesi ne avrebbero giovato. Gli schiavi neri ad Haiti dovevano capire, a forza di giogo e frusta, che loro non erano entrati nella categoria degli uomini del tanto cartesiano proclama rivoluzionario. Ad Haiti hanno dovuto fare una loro propria rivoluzione, una rivoluzione nera, la prima di tutta l’America Latina nel 1804, che nella sua Costituzione dichiara: “Tutti i cittadini, d’ora in poi, saranno conosciuti con la denominazione generica di neri”.

Per trovare l’origine dei diritti umani è necessario liberarsi dalla colonialità del sapere che implicava che tutta la produzione teorica era (ed è) legata a una certa matrice europea.

Nel 1960, lo storico guineano Djibril Tamsir Niane si unì a diversi griots (musicisti che sono la memoria dei popoli) e realizzò la traslitterazione di canzoni con la storia degli inizi dell’impero del Mali nel XIII secolo, fondato da uno dei più importanti leader africani e di cui si sa poco: Sunyata Keita.

Se Sunyata Keita fosse nato in Europa o negli Stati Uniti ci sarebbero centinaia di film e romanzi dedicati all’epopea di portare la pace in Africa. Nel 1235, Sunyata riunì tutte le tribù per sanzionare la Carta Manden, nota anche come Kurukán Fuga, la costituzione verbale dell’impero del Mali conservata dai griots

Perché questa storia, che ha 800 anni, non deve interessarci? Propongo il Kukurán Fuga come pietra alla base dei diritti umani per i popoli colonizzati del mondo, promossi da Sunyata Keita. Il Kurukán Fuga dice: “Ogni vita è una vita; il danno richiede riparazione; praticare il mutuo soccorso; prendersi cura della patria; eliminare la servitù e la fame; cessino i tormenti della guerra, ciascuno sia libero di dire, di fare e di vedere».

Mentre nel 1486 fu favorito l’europeo Malleus Maleficarum il rogo delle donne per i loro legami incubi e succubi con i demoni, in Africa, la Carta Manden stabiliva: “Le donne, oltre alle loro occupazioni quotidiane, dovrebbero essere associate in tutti i nostri governi”.

Mentre nel 1550 Frate Bartolomé de las Casas discuteva con Juan Ginés de Sepúlveda nella Giunta di Valladolid sul fatto se gli indigeni avessero anima o fossero selvaggi che dovevano essere addomesticati, la Carta Mandén aveva già stabilito l’uguaglianza di tutti gli esseri umani.

Mentre oggi siamo sorpresi dalle conseguenze climatiche della radura, in Africa nel XIII secolo si cantava: “Prima di dare fuoco al cespuglio, non guardare la terra. Alza la testa e guarda la cima degli alberi: è vietato bruciare le erbacce”.

Continuiamo a chiederci i limiti dello stato di necessità come scagionatrice di delitti ma otto secoli fa fu stabilito: “Saziare la fame non è un furto”. Sì, per quanto infastidisca la ragione occidentale moderna, i diritti umani sono un’invenzione africana.

Articolo originale in spagnolo parte 1

Articolo originale in spagnolo parte 2

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