ArticoliQuadrilatero della violenza

Ademar Barilli

Ademar Barilli esp(PDF Español)

Accompagnando p. Francisco a Tecun Uman, città di confine tra il Guatemala e il Messico, ho conosciuto Ademar in un giorno di festa del mese di novembre 2011. Siamo scesi dalla capitale, Città del Guatemala, che sta oltre i 2000 metri e siamo arrivati sulle sponde del Pacifico. Era con noi un volontario scalabriniano che doveva fare la gavetta in quella città, che su 50.000 mila abitanti ne conta 55.000, che di mestiere fanno i contrabbandieri, i cambiavalute, i trasportatori illegali sul rio Suchiate per i migranti che vogliono andare in Messico. Ci accolse nella Casa del Migrante, che ha ricavato “prendendo e recuperando” una discarica abusiva della città per costruirci sopra la Casa. In un giorno eravamo passati dal freddo della capitale al clima caldo-umido del Pacifico, e dopo un viaggio di circa 500 chilometri e 7 ore su strade della Panamericana piene di buche oceaniche, ci rinfrescò con una capirinha fatta da lui. L’accoglienza brasiliana si arricchì poi con una grigliata che l’argentino Francisco controllava con occhio critico.

Il giorno seguente concelebrò nella chiesa della città, alla presenza del vescovo Ramazzini, che è stato minacciato di morte varie volte per la sua concreta difesa dei migranti e delle popolazioni indigene, diede la cresima a molte persone, la prima comunione ad altre e infine celebrò un matrimonio.

Sotto un tetto di lamiera riparato dopo un recente uragano, tra centinaia di candele, con la devozione sincera che si riscontra calorosamente solo in quelle latitudini e la temperatura che raggiungeva i 45 gradi, ho assistito agli stessi riti che, paragonati alla nostra realtà d’appartenenza eurocinica, sembravano più vivi, più partecipati, senza ipocrisia e falsa credenza.

Ademar, che con Francisco e il parroco della chiesa coadiuvavano il vescovo, al momento del suo arrivo, già sulle scale, fu attorniato da ragazzini, donne, anziani e tutti cercavano una sua carezza e parola di conforto. Lui, reso ancor più gigantesco di quanto non sia, con gli abiti liturgici, con quella barbona da gigante buono, ne aveva per tutti. Dava modo di conoscere le vere cose che creano problemi in ogni famiglia. S’interessava della sorte di una o di come stessero andando le cose per l’altra.

A cerimonia finita, sono stato ammesso a cenare con il vescovo, gli scalabriniani presenti e, cosa emozionante che si aggiungeva alle altre emozioni, con un campesino che nel villaggio di residenza era un capo riconosciuto e che in quell’occasione faceva da scorta al vescovo che aveva rifiutato quella ufficiale dell’esercito.

Mi sono ritrovato a discutere di molte cose, (tutti conoscono l’italiano, e in gran parte sono figli dei nostri emigranti), del ruolo guida della chiesa latino americana per i diritti degli indigeni; di come la chiesa potesse sostenere il diritto alla conoscenza; di come si potesse dare un futuro ai campesinos; di quale fosse il senso di una chiesa povera per i poveri. Il franco e amichevole confronto con il vescovo è una delle cose più belle che mi siano capitate e lo porto sempre dentro di me, a dimostrazione che quando ci si confronta sinceramente tra persone diverse, entrambe ne escono arricchite. E si comprende il valore essenziale di stare dalla stessa parte di chi vuole aiutare chi non ce la fa.

Il giorno dopo ho trascorso un po’ di tempo sulle rive del Suchiate per vedere come si trasportano le famiglie dei migranti sull’altra sponda. Mi sono nascosto, e all’improvviso è arrivato un carico di contrabbando, e mi sono ancor più preoccupato quando è arrivata una pattuglia anti immigrazione che fra tutti scrutava soltanto me. In quella situazione tipica di zona di frontiera, dove esiste soltanto la legge del più forte, ho incontrato Mauricio che stava seduto sul monumento ai migranti, semi crollato, che Ademar ha fatto costruire sulla sponda. Lui è il prototipo del pirata. Con un occhio di meno, pantaloncini corti sbrindellati, un’unica maglietta, nero come un tizzone d’inferno, campa al minuto e non alla giornata. Aiuta i contrabbandieri a scaricare camion. A fine lavoro gli danno qualche soldo e si ricomincia a cercare di che vivere.

La Casa del migrante sta proprio dietro la prima siepe e accoglie senza chiedere nulla tutti coloro che hanno bisogno di assistenza materiale e spirituale.

Gli indifesi sanno che lì dentro c’è uno scalabriniano pronto a difenderli a qualsiasi costo e si fidano.

Le autorità fanno finta di non sapere e tutto va come sempre in queste latitudini.

Buon lavoro Ademar.

Ademar Barilli esp(PDF Español)

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