ArticoliMarilou Rella

Guerre e femminicidi in aumento: il circolo vizioso del patriarcato al potere

Il 2 aprile 2025 in Italia sono avvenuti due femminicidi in meno di 24 ore, andando ad aggiungere il nome di Sara Campanella e Ilaria Sula ad una lunga lista di donne barbaramente assassinate, vittime di determinati uomini, certo, ma anche di una società che sempre di più si spinge sull’orlo del baratro. Uscendo dalla mera contabilità, urge una riflessione: perché questi delitti hanno la possibilità di continuare, inesorabilmente, a ripetersi? È sotto gli occhi di tutti che il solo carcere non funziona come deterrente, che il disagio dell’omicida è più profondo e si spinge oltre, tanto da non temere neanche la punizione. Bisogna allora allargare lo sguardo al contesto che fa da sfondo a questi delitti, all’aria che si respira. Viviamo giorni di guerra definiti da Papa Francesco come una “terza guerra mondiale a pezzi”. Ebbene, i femminicidi sono una sottospecie delle guerre, conseguenza e prodotto di una cultura patriarcale, imperante anche nell’Occidente democratico, che conferisce agli uomini il potere di decidere in ambito famigliare, sociale e politico. È un radicato abisso culturale, non solo politico, che si sostanzia in una mentalità diffusa che celebra il dominio del più forte, che usa la forza come strumento politico e che cancella l’alterità in quanto tale. L’altro – che sia donna, straniero, disabile o povero – è vissuto come una minaccia per il motivo stesso di essere al mondo, la sua stessa esistenza è vissuta come una frustrazione insostenibile. La cornice entro la quale avviene tutto questo è quella del darwinismo sociale che legittima la sopravvivenza del più forte a scapito del più debole, e dove la violenza non è più u tabù: non c’è alcuna reticenza nel pronunciare parole violente e nel rivendicare azioni violente, c’è apatia davanti alle immagini di corpi dilaniati dalle bombe, e la violenza è normalizzata nel linguaggio quotidiano, massmediatico, nelle scelte politiche e istituzionali. C’è il mito della forza, della potenza militare, della supremazia culturale, l’affidamento al motto “che vinca il più forte !” Poi, di fronte al fallimento di chi si credeva tra i più forti, rimane il “si salvi chi può!”. Mostrato nell’oltraggioso spot simil-pubblicitario della commissaria europea Hadja Lahbib che ci insegna a preparare un kit  di sopravvivenza in caso di guerra e catastrofi naturali. Questo è il mare in cui nuotiamo. Ma cercando di resistere a tutto questo, e tornare alla Ragione, al cuore, a un linguaggio opportuno, ai sentimenti di solidarietà che ci tengono in vita (perché nessuno si salva da solo!), concludo prendendo a prestito le parole puntuali e misurate, ma anche accorate, della pedagogista Luigina Mortari che nel suo ultimo libro Emozioni e virtù ( 2025, Raffaello Cortina Editore) molto ci dice su questi temi: “ E’ un tempo faticoso, il nostro, attraversato da profonde crisi economiche, sociali e politiche che si manifestano in comportamenti relazionali difficili, dove l’esperienza affettiva assume spesso contorni problematici e rivela il disagio di vivere non solo con gli altri ma anche con sé stessi. Si assiste ad un aumento di aggressività e violenza nelle relazioni, che sembra riconducibile all’incapacità di gestire le emozioni. Insieme a questo, si sperimenta ogni giorno una crisi di eticità, evidente nella frequente chiusura autoreferenziale correlata a una scarsa considerazione dell’altro, che si fatica a riconoscere nei suoi diritti e bisogni essenziali. Senza un’etica viva, che si costruisce attraverso un’interrogazione radicale e profondamente meditata delle questioni essenziali per l’esistere, restano solo inerti relazioni emotive: indignazioni tanto altisonanti quanto inutili, che mentre illudono il soggetto di essere presente nel mondo, lo distraggono dalla sua vera responsabilità. Quello di cui abbiamo bisogno non sono istantanee reazioni emotive, ma un solido impegno nell’agire”.

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