ArticoliP. Alfredo J. Gonçalves, CS

L’Altro, il Diverso e lo Straniero

Il detto popolare recita: “Con il movimento del carro, le angurie si fermano”. Ma questo dura solo fino al prossimo ostacolo. Nel processo graduale della vita quotidiana, ogni ostacolo corrisponde ad una scossa, e questo rappresenta uno shock, seguito da un nuovo riadattamento. Altrimenti, il viaggio diventa facilmente una camminata monotona e sonnolenta. Sono questi gli ostacoli che superiamo quotidianamente lungo il cammino che ci mettono in costante movimento. Perché preferiamo l’inerzia? Perché la paura delle crisi e degli ostacoli? Perché ci sentiamo più sicuri in una routine che raramente porta sorprese, o quando lo fanno, non sono altro che piccoli graffi, senza il potere di cambiare la pace e la tranquillità?

Tale autocompiacimento ci porta a evitare l’altro, il diverso, lo strano o lo straniero. L’ignoto ha il potere di tenerci all’erta. Ogni novità che ci porta fuori dalla nostra zona di comfort, per quanto benefica possa essere, è vista come una minaccia. Preferiamo una routine insipida ma familiare a qualsiasi evento imprevedibile su cui non abbiamo alcun controllo. Nella quotidianità addomesticata e ripetitiva si cela una sorta di pace imperfetta, se non un mutismo tossico. Lo stesso vale per l’acqua: quando si muove, è capace di purificarsi e diventare limpida, cristallina, lasciando dietro di sé residui impuri e nocivi. Al contrario, quando è ferma, corre il rischio di accumulare detriti, generando spazzatura e sporcizia, che la portano a marcire. Inoltre, tutto ciò che si accumula a lungo tende a marcire.

Il tempo non è diverso. Accumulare tempo, riservato esclusivamente alla spesa e al godimento personale e individuale, si trasforma in noia. Ciò significa che anche il tempo si depura e si purifica attraverso l’uso costante di legami, relazioni e interscambi. È attraverso di esso che si cuce il tessuto sociale. Quando viene recintato, rendendone impossibile l’accesso agli altri, diventa un latifondo. Vuoto, abbandonato, improduttivo! Non produce nulla perché non si apre al seme che viene dall’esterno. Ma c’è anche quello che si può definire tempo d’investimento, che viene utilizzato solo per generare profitti su profitti. Tempo convertito in capitale: se investito, deve diventare fonte di doppio reddito. Il suo utilizzo rimane irrimediabilmente subordinato alla legge dell’accumulazione del capitale. Pertanto, il tempo viene meticolosamente suddiviso in porzioni, e queste vengono distribuite in base alla possibilità di un rendimento maggiore. Uno sguardo ai racconti evangelici, per quanto superficiale, è sufficiente per rendersi conto che solo il tempo libero è capace di creare relazioni autentiche, profonde e durature. Il tempo di Gesù, essendo il tempo del Padre, è ora distribuito gratuitamente ai poveri e agli esclusi, agli indifesi e agli emarginati. Pertanto, sempre con lo sguardo fisso sul Vangelo, la carovana del Maestro non travolge mai chi grida aiuto, da qualsiasi parte provenga il grido. Gesù si ferma a prestare attenzione a chi soffre e attende. La parabola del Buon Samaritano illustra bene questo punto. Mentre i due funzionari del tempio (sacerdote e levita) non possono “perdere tempo” con l’uomo caduto ai margini della strada e della vita, il samaritano mette il suo tempo a disposizione di questa urgenza. Dolore, fame e solitudine non possono aspettare. “Va e fa lo stesso”, conclude il Maestro (Lc 10,25-37). Pertanto, il tempo dedicato alla terra e il tempo dedicato agli investimenti, rispettivamente, generano moltitudini affamate o sfruttate. Il modo in cui impieghiamo il tempo determina il tipo di relazione che stabiliamo attraverso di esso.

Ciò significa che anche il tempo si depura e si purifica attraverso l’uso costante di legami, relazioni e interscambi. È attraverso questo che si cuce il tessuto sociale.

Sorge la domanda: come la Chiesa e i suoi rappresentanti utilizzano il proprio tempo di fronte al fenomeno delle migrazioni? Queste, come dimostrano i volti, le rotte e i numeri, stanno diventando sempre più intense, complesse e diversificate. Il compianto Papa Francesco non si stancava mai di mettere in guardia dal quadro freddo e desolato di queste moltitudini sradicate. Allo stesso modo, l’attuale pontefice, Leone XIV, riprendendo la preoccupazione pastorale del suo predecessore, sottolinea la necessità di abbattere muri e costruire ponti, di passare dall’ostilità al dialogo, dall’indifferenza alla solidarietà. “Chiesa in movimento!”… Il tempo all’interno della Chiesa stessa, delle congregazioni, dei ministeri pastorali o dei movimenti, tuttavia, sembra misurato, eccessivamente calcolato, regolato dalla matematica. C’è tempo a sufficienza per la liturgia formale, per un ritualismo sterile, per ornamenti ostentati, per certe devozioni quantomeno strane e interminabili, per le reti digitali, per un moralismo non di rado disincarnato… Ma non c’è tempo per i poveri, per i migranti, per i gruppi vulnerabili e sacrificabili, per visitare le loro case, per rafforzare le organizzazioni di base, per difendere i loro diritti fondamentali, per salvare la dignità umana degradata, per una posizione profetica contro oppressori sempre più ricchi e multimilionari…

P. Alfredo J. Gonçalves, CS

Consulente dell’SPM – San Paolo

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