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Donne occidentali, tra emancipazione e manipolazione.

Nell’attuale società dell’informazione e dell’immagine, degli influencer, caratterizzata dalla mercificazione di notizie e persone, dalla spettacolarizzazione, dove la propaganda, sia quella più grossolana che quella più subdola e sofisticata, investe la comunicazione politica e mediatica – inclusa la guerra – anche l’immagine delle donne al potere diventa simbolica e impattante per il messaggio che veicola alle masse. In Italia da qualche mese abbiamo una premier donna, e recente è la vittoria di Elly Schlein alle primarie del Partito Democratico: la prima segretaria donna del primo partito italiano di centro sinistra. La sua candidatura, non a caso, è avvenuta solo dopo la vittoria di Giorgia Meloni come Presidente del Consiglio. Era diventato un punto di debolezza troppo imbarazzante il fatto che il partito italiano a maggiore rappresentanza femminile fosse quello composto dalle formazioni partitiche di destra, anziché quelle di sinistra.
In ogni caso, in un paese maschilista come l’Italia, dove il numero di femminicidi rimane sicuramente un importante punto di svolta che conforta visto che la rappresentanza femminile al potere è tutt’oggi molto bassa, e non solo in Italia. quello che tocca altresì notare, e non è la prima volta, è che queste figure sembrano non riuscire mai a dare una svolta concreta e significativa rispetto a quello che la loro immagine vorrebbe, o parrebbe, comunicare. E anzi, la loro immagine sembra correre il pericolosissimo rischio di diventare uno strumento di manipolazione dove dietro l’apparenza di emancipazione si nasconde invece una forte spinta nella direzione opposta, quella di una forte conservazione. Da quando il governo Meloni si è insediato, pochissime sono le donne poste nelle maggiori cariche dello Stato, le foto istituzionali della premier la vedono sempre circondata da quasi soli uomini. Lei ama farsi chiamare Presidente del Consiglio, anziché accettare la declinazione al femminile, ha revocato lo smart working ai genitori con figli di età inferiore ai 12 anni rendendo molto più difficile la conciliazione, soprattutto per le donne, dei tempi familiari con quelli lavorativi. Favorevole all’invio di armi all’Ucraina, senza mai accennare ad una parola di pace e negoziazione, si è fatta fotografare con un sorriso smagliante a bordo di aerei militari di ultima generazione; non si è presentata davanti alle bare dei migranti, anche di bambini, morti in mare, pur essendo lei stessa una madre. Ha appena varato misure che precarizzano il lavoro, in un paese come l’Italia che ha un’alta percentuale di disoccupazione femminile, di part-time forzato per le donne, e di divario salariale nei confronti delle donne spesso sotto ricatto, esplicito o implicito, da parte dei datori di lavoro in vista di possibili gravidanze. Al contempo, la premier declama il suo impegno per favorire una maggiore natalità, senza intraprendere azioni di reale sostegno alle famiglie in questa direzione.
Di tutt’altro genere e tenore, ma altrettanto significativo, il dibattito che si è scatenato in seguito all’intervista che Elly Schlein ha concesso alla rivista di moda Vogue. Senza entrare nel merito della polemica, come sempre con schiere di tifosi pro e contro, preme constatare solo un elemento: nella società dell’immagine l’abito fa il monaco quindi la scelta di abbigliarsi e truccarsi similmente alle modelle delle riviste patinate ha sicuramente un impatto. Ma ancora più importante è il pubblico della rivista Vogue, platea dell’alta borghesia benestante. Niente di male in sé, se non fosse che la Schlein doveva essere la figura del rinnovamento chiamata a scardinare l’ipocrisia della sinistra italiana radical chic che tanto consenso ha perso esattamente per questo motivo. Quindi, ho trovato singolare anche la scelta della Schlein di rivolgersi ad un elettorato ristretto e già esistente, anziché tentare di estenderlo alla grande maggioranza degli astensionisti, dialogando con le classi economicamente più svantaggiate, in costante crescita. Da notare, infine, anche l’allineamento di Elly Schlein a favore dell’invio di armi all’Ucraina seppur con qualche apertura parziale e ben poco militante e sostanziale.
Cose simili potrebbero dirsi difronte alle figure di Ursula Von Der Leyen, Presidente della Commissione Europea, e di Christine Lagarde, Presidente della Banca centrale europea. In nessun caso si tratta di figure di rottura, di radicale cambiamento rispetto allo status quo, bensì di figure molto in continuità con la linea già stabilita dal sistema vigente. Viene da chiedersi quanto siano vittime o complici di certe politiche, oppure entrambe le cose. Resta evidente che i temi cosiddetti “femminili” di cura delle relazioni, di assistenza ai più deboli e bisognosi, di salvaguardia dell’ambiente e di promozione di politiche di pace, non sono adeguatamente presidiati neanche dalle figure politiche femminili, talora assenti, talaltra presenti, ma senza una reale capacità di incidere sul corso degli eventi imprimendo una direzione diversa.

Marilou Rella

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