Andrea Cantaluppi articoliArticoli

TRANSIBERIANA

Prendo spunto da un capitolo scritto da Ryszard Kapuscinski, tratto da Imperium, per continuare una mia costante ricerca sul senso storico, geografico, politico, economico, temporale, religioso, delle frontiere. Da quando mi sono occupato materialmente a favore dei migranti, questo assillo delle frontiere e non dei ponti, mi porta a ricercare, a ragionare, sul senso della barriera che è più che altro un ostacolo creato dagli uomini contro gli uomini.
Andrea Cantaluppi.

Il treno della transiberiana, partito il giorno prima da Pechino e che effettua il viaggio di nove giorni per Mosca, sta arrivando da Harbin a Zabajkal’sk, stazione di confine con l’URSS. L’avvicinarsi di una frontiera aumenta la tensione, produce una certa emozione. La gente non è fatta per vivere in situazioni di frontiera, e infatti cerca di sfuggirle o di liberarsene il prima possibile. E tuttavia ci si imbatte continuamente, le vede e le sente ovunque. Prendiamo l’atlante universale: frontiere su frontiere. Frontiere formate dagli oceani e dai continenti. Dai deserti e dalle foreste. Dalle precipitazioni, dai monsoni, dai tifoni, dalle terre coltivate e dalle terre incolte, dalle terre permanentemente ghiacciate e dalle terre acide, da scisti e conglomerati. Aggiungiamoci le frontiere formate dai depositi quaternari e delle eruzioni vulcaniche, dal basalto, dal calcare, dalla trachite. Possiamo vedere come frontiere anche lo scudo patagonico e lo scudo canadese, le zone artiche e le zone tropicali, le forme erosive del bacino dell’Adige e quelle del Lago Ciad. Gli habitat di certi mammiferi. Di certi insetti. Di certi rettili e serpenti, tra cui il pericolosissimo cobra nero e il terribile, ma per fortuna pigro, anaconda. E che dire delle frontiere formate da monarchie e repubbliche? Da antichi regni e civiltà scomparse? Da atti, accordi, alleanze? Dalla razza nera e dalla razza gialla? Dalle migrazioni dei popoli? Questa è la frontiera dove si fermarono i Mongoli. Questa dei Khazari. Questa degli Unni.

Quante vittime, quanto sangue, quanto dolore legati alla questione delle frontiere! Non si contano i cimiteri dei caduti in difesa delle frontiere. Non meno sterminati sono i cimiteri degli audaci che tentarono di allargare le loro. Praticamente metà degli abitanti passati per il nostro pianeta, morti sul campo di battaglia, hanno reso l’anima in guerre suscitate da un problema di frontiere.

Questa sensibilità alla questione delle frontiere, questa continua smania di delimitarle, di espanderle, o di difenderle è una caratteristica non solo dell’uomo, ma di tutto il mondo vivente, di tutto ciò che si muove sulla terra, nell’acqua  e nell’aria. Molti mammiferi si fanno dilaniare per difendere i confini dei loro pascoli. Molti predatori alla conquista di nuovi territori di caccia azzannano a morte i loro rivali. Perfino il nostro micio domestico spinge e si inarca per spremere a fatica qualche goccia qua e là e mercare i confini del suo territorio.

E i nostri cervelli? Non contengono forse al loro interno un’infinita serie di codici riguardanti frontiere d’ogni genere? Il confine tra l’emisfero sinistro e quello destro, tra il lobo frontale e quello temporale, tra l’ipofisi e l’ipotalamo. E le divisioni tra ventricoli, meningi e gangli? Tra il midollo allungato e quello spinale? Osserviamo il nostro modo di pensare. Quante volte ci diciamo: posso arrivare sin qui, ma non oltre. Oppure: attento a non spingerti troppo, rischi di oltrepassare i limiti! Inoltre tutti questi confini nel pensare e nel sentire, tra ordini e proibizioni, non fanno che spostarsi, incrociarsi, fondersi e sovrapporsi. Nei nostri cervelli si svolge un frenetico movimento di frontiera, di prefrontiera e di oltrefrontiera. Da cui mal di testa, emicranie e confusione di idee. Ogni tanto qualche perla: visioni, allucinazioni, lampi mentali e, ma più di rado, lampi di genio.

La frontiera è sinonimo di stress, di paura ( molto più raramente di liberazione). Il concetto di frontiera può contenere un che di definitivo, di porta che si chiude alle spalle per sempre: per esempio il confine tra la vita e la morte. Gli dei conoscono queste inquietudini e per questo cercano di conquistare fedeli promettendo loro in premio il regno dei cieli che, infatti, è sconfinato. Il paradiso del dio cristiano, il paradiso di Jahvè e di Allah non hanno frontiere. I buddisti credono che lo stato di nirvana sia uno stato di beatitudine senza confini. Insomma la cosa più richiesta, più attesa e desiderata è precisamente questa incondizionata, totale e assoluta sconfinatezza.

Reticolati. Sono la prima cosa che si nota. Spuntano fuori dalla neve, innalzandovisi sopra a linee, a mucchi, a siepi. Aggrovigliati nelle combinazioni più bislacche, in nodi, in matasse, in architetture che uniscono tra loro cielo e terra, i reticolati spuntano da ogni lembo di campo gelato, in mezzo al paesaggio candido e sullo sfondo dell’orizzonte glaciale. A prima vista questo sbarramento aggressivo è irto di spine, disteso lungo la frontiera, sembra una trovata incongrua e surrealista: chi può mai voler andare oltre, se a perdita d’occhio non si vedono né una strada né un’anima viva, ma solo un deserto di neve alta due metri che non ti permette di fare un passo? Eppure quei reticolati vogliono dirti qualcosa, ti mandano un messaggio. Dicono: “Attento, stai oltrepassando la frontiera di un altro mondo. Da qui non si esce, non si scappa. È un mondo grave come la morte, il mondo del comando e dell’obbedienza. Impara ad ascoltare, a essere umile, a occupare meno posto possibile con la tua persona. Fa’ quello che ti compete. Taci. Non porre domande”.

(33)

Loading