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QUE SERA SERA.

Sui mezzi di trasporto pubblico alcune persone leggono libri. Impiegano il tempo del percorso per tenersi in fertile compagnia.

Su più lungo tragitto le letture mi hanno accompagnato l’esistenza, legandosi a epoche e luoghi.

Le storie di Giuseppe, scritte da Thomas Mann, le go lette in Tanzania. Il Wilhelm Meister di Goethe l’ho consumato a Catania, quando ero operaio di rampa all’aeroporto.

Holderlin mi ha confortato a Belgrado durante i bombardamenti della Nato.

I libri mi hanno fatto da sponda di rimbalzi.

Le scritture che ho fatto si legano meno nella memoria a tempi e luoghi. 

Certo il primo libro pubblicato, Feltrinelli 1989, lo ricordo precisamente.

Uscì poco prima della morte di mio padre.

Mia madre trovò il titolo del racconto sulla gravidanza di Miriam/Maria.

Una storia d’amore in una estate ischitana mi permise di interrompere venti anni di salario operaio.

A cinquant’anni fatti ho scritto una favola napoletana.

In tutta questa durata non è cambiato il rapporto tra i libri letti o scritti e me. Costituiscono ancora il tempo liberato, al riparo di ogni altra faccenda.

Ogni storia che scrivo è ancora la prima, dentro la quale resto principiante. Nessuna scrittura precedente mi costituisce esperienza.

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