Fiabe

Il cieco e il suo mandolino

Quel cieco suonava mirabilmente il mandolino. La musica era il suo unico mezzo di sopravvivenza. Che cosa avrebbe potuto fare senza il suo strumento? Nella sua stanzetta organizzava per la gioventù delle piacevoli serate, in cui si beveva del tè. Conosceva numerosissimi ritornelli, ma non aveva difficoltà alcuna ad improvvisarne all’occorrenza di nuovi. Mentre suonava i giovani ballavano.. poi si beveva. Niente di dispendioso: qualche foglia di tè e un po’ d’acqua; per lo più l’acqua è un bene di Dio, non si pagava. Si chiacchierava, si cantava; poi andandosene quelli che ne avevano i mezzi potevano lasciare su un piccolo vassoio qualche monetina. Sarebbero state sufficienti al cieco per acquistare il pane, qualche spezia e un po’ di carbone necessario al suo canun.

Un giorno, i giovani, che hanno sempre il gusto dell’avventura, sentirono parlare di un castello invaso dagli spiriti.

Eccitati da questo, progettarono di portarvi il nostro cieco, per giocargli uno scherzo di cattivo gusto. Tanto costui non avrebbe potuto vedere il posto in cui sarebbe stato attirato, e neanche avrebbe visto di certo i fantasmi. Nell’immaginare il cieco alle prese con gli spettri i giovani si divertivano con crudele voluttà.

Prepararono quindi di dolci e delle vivande e tutti insieme andarono a trovare il musicista.

“ Ia Baba!”, dissero in coro, “siamo stati invitati ad una importante serata. Vuoi venire con noi per suonare il mandolino? Ci sarà un buon pranzo! Potrai fare il tuo tè e mettere il tuo vassoio. Ti garantiamo una bella raccolta…

il cieco accettò. Fu quindi portato dai ragazzacci nel castello. (Dio sa dove mai i ciechi possono essere portati!…). i giovani avevano anche invitato altri compagni per ingrossare il numero dei convitati e divertirsi insieme a loro della beffa che stavano per giocare all’infermo. Quest’ultimo, ignaro di quanto accadeva attorno a lui, suonava del suo meglio. Senza che lui se ne accorgesse, verso mezzanotte meno dieci, i ragazzi se la svignarono quatti quatti in punta di piedi. Percé i fantasmi avevano l’abitudine di presentarsi a mezzanotte in punto. L’infermo non udendo più nessuno si rese conto di essere rimasto solo. Senza preoccuparsi, si avvolse nel suo burnous, mise il mandolino per terra, vi adagiò la sua testa sopra e s’addormentò.

Ora, ecco che all’ora fatidica, un gruppo di sette donne, ricoperte di veli bianchi, entrarono nella stanza dove dormiva il cieco. Lo svegliarono. “Sei un musicista, dissero le sette sorelle, continua a suonare perché vorremmo ballare!”. Il cieco sentì il profumo che emanava da loro. Prese il suo mandolino e si mise a suonare. Udiva il rumore cadenzato che facevano i bracciali (kholkhal) che portavano alle caviglie, in accordo con i tempi della sua musica.

“Poiché tu sai suonare così bene, dissero, nechkou’alik!…”.

il cieco si sentì toccare in fronte e udì nel suo vassoio quello che le ballerine gli avevano gettato. Continuò a suonare il suo mandolino con ardore. All’alba le sette sorelle gli dissero: “Buon pro’ ti faccia! Ci hai fatto ballare davvero bene per tutta la notte!”.

Una dopo l’altra si ritirarono.

Il cieco, curioso, palpò il contenuto del suo vassoio; ma ahimè, dentro trovò solo bucce d’arancia. Sorrise con indulgenza e si rimise a dormire.

L’indomani, quando volle riprendere il suo vassoio per metterselo sotto il braccio e ritornarsene a casa, si accorse che era diventato molto pesante. O sorpresa! Le bucce d’arancia si erano trasformate in sonanti scudi d’oro. Ne fece un consistente pacco e ripartì con il suo bastone fino a casa sua.

I ragazzacci, incuriositi, arrivarono: “Ia Baba! Come hai trascorso la notte?”. “ Non ne ho mai trascorsa una più bella in vita mia! Delle donne bellissime cariche di gioielli sono venute a farmi visita. Hanno voluto ballare al suono della mia musica per tutta la notte…e adesso, la mia fortuna è fatta. Non ho più bisogno di voi…”.

(fiaba del nord Africa)

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