ArticoliFrancesco Comina

Francesco a Che tempo che fa…

Più che l’aureola del santo, papa Francesco ama lo spirito geometrico del tango, l’arte di tendere il braccio per danzare la vita nelle sue pieghe più remote: “Uno – dice con il sorriso sulle labbra – non può essere un portegno, senza ballare il tango”. Ecco perché ha scelto una dimora più semplice e più “popolare” come Santa Marta, rispetto agli appartamenti vaticani. Perché la santità appartiene ai papi precedenti, quelli che sapevano ritirarsi in rigoroso silenzio nelle stanze del palazzo: “I papi di prima erano santi, io non me la cavo… non sono tanto santo”. Francesco ha un bisogno fisico di rapporti umani: “L’amicizia mi fa forza, ne ho bisogno. Non ho tanti amici, sono pochi, ma sono veri”.

Ancora una volta la chiesa in uscita ha fatto di Bergoglio un papa controcorrente. Un pontefice che sceglie uno dei programmi di intrattenimento televisivo più popolari in Italia, come “Che tempo che fa”, per combinare l’etica umana di “Fratelli tutti” con quella ecologica della “Laudato sì”. Quasi cantando un rock’n roll, come se fosse su un palco insieme al cantautore e compositore brasiliano Roberto Carlos da cui prende a prestito un verso meraviglioso di una sua canzone: “Perché il fiume non canta più?”.

Già, perché il fiume non canta più? Forse perché lo abbiamo silenziato noi con la nostra indifferenza e con il nostro cinismo? Forse perché lo abbiamo sfruttato senza pietà e lo abbiamo ricoperto di interessi economico-finanziari? O forse perché abbiamo perso il piacere del bello, il gusto di stare nel cuore sacro della creazione? O perché abbiamo ridotto la fede a un sistema di convenzioni ripetitive, proprie di una spiritualità in stato di putrefazione? O ancora perché abbiamo perso la beata ironia che tanti secoli fa Thomas More aveva voluto mettere a chiusura di una preghiera sull’importanza della buona digestione? “Dammi, Signore, una buona digestione, e anche qualcosa da digerire. Dammi la salute del corpo, con il buon umore necessario per mantenerla. Dammi, Signore, un’anima santa che sappia far tesoro di ciò che è buono e puro, e non si spaventi davanti al peccato, ma piuttosto trovi il modo di rimettere le cose a posto. Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti, e non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa tanto ingombrante che si chiama “io”. Dammi, Signore, il senso dell’umorismo. Fammi la grazia di capire gli scherzi, perché abbia nella vita un po’ di gioia e possa comunicarla agli altri. Così sia”.

La lezione etica di Bergoglio in prima serata sulla tv ha rilanciato una speranza possibile in un tempo lacerato dal nichilismo e dalle narrazioni distopiche. Parole solide, nel mondo liquido: “ Il chiacchiericcio distrugge. Il perdono è un diritto innato di ogni persona umana. La guerra è un controsenso della creazione. È un antisenso, è sempre distruzione. Fare una famiglia, portare avanti la società è costruire, la guerra è distruggere. C’è un problema di categorizzazione, di primo e secondo posto e le guerre, mi dispiace dirlo, in questo momento sono al primo posto. Bambini, migranti, poveri, coloro che non hanno da mangiare non contano, sono nelle categorie basse, non sono al primo posto. Nell’immaginario universale quello che conta è la guerra. Con un anno senza fare armi si può dare da mangiare e fare educazione per tutto il mondo in modo gratuito, ma questo è in secondo piano. Si pensa alle guerre, è duro ma è la verità. La prima categoria è la guerra, gli altri al secondo posto. Guerra ideologica, commerciale, di potere, per andare avanti e tante fabbriche di armi”.

Francesco è un papa con il cuore in mano. Per dare un senso alle cose non basta lo spirito, non bastano le preghiere se esse sono solo una ripetizione di formule e di riti. Ci vogliono i sensi, ci vuole l’amore: “Toccare – ha detto con forza – è farsi carico dell’altro”. Il prossimo va visto, aiutato e toccato, va preso in consegna come un dono. Compatirlo e passare oltre è un crimine. Come nel caso dei migranti rifiutati e abbandonati nel loro destino di morte in quell’enorme cimitero che è il Mare Monstrum al largo di Lampedusa ( solo accogliendo, accompagnando e integrando il migrante, noi facciamo pratica di umanità). Come nel caso dei giovani di oggi, parcheggiati in una terra di nessuno dove divampa la furia verso sé e verso gli altri: “Il problema dell’aggressività sociale – ha spiegato Francesco – lo hanno studiato psicologi e sociologi bene. Sottolineo che è cresciuto il numero dei suicidi giovanili: cè una aggressività che scoppia, basta pensare nella scuola al bullismo, è una aggressività nascosta, è un problema sociale. La aggressività va educata, di per se non è negativa, può essere positiva ma può essere distruttiva e inizia con la lingua, il chiacchiericcio: nelle famiglie e nei quartieri distrugge l’identità. Se hai una cosa contro l’altro o te la tieni o meglio dirlo in faccia ed essere coraggiosi”.

Uomo fra gli uomini, Francesco ha fatto la scelta orizzontale. Ha fatto la scelta dell’amore solidale. Una prospettiva che non piace a tutti sia dentro che fuori la chiesa. Ma questa è la sorte di un pontefice venuto dall’altro capo del mondo, ossia di un uomo chiamato ad essere costruttore di ponti. Con umiltà e pazienza: “Io non sono un campione di peso. Sopporto come la maggioranza della gente sopporta, non so se mi avete capito, non so se sono stato chiaro…”.

Francesco Comina

(36)

Loading