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Siamo il popolo più vecchio del mondo per età media, dopo i giapponesi.

Abbiamo più di cinque milioni di connazionali iscritti al registro dei residenti all’estero, più quelli che si sono trasferiti e che non hanno sentito il bisogno di iscriversi.
( Tra la prima e la seconda generazione, nel mondo ci sono circa 60 milioni di italiani, tanti quanti siamo in Italia. N.d.R.).
Siamo un paese in via di autoriduzione eppure abbiamo un governo che si compiace di guardare e agire in cagnesco contro giovani vite ospiti del nostro territorio.
In Giappone il governo, senza aggettivi, il governo e basta programma l’afflusso di oltre trecentomila stranieri per il fabbisogno della economia, con le dovute e annesse spese di inserimento dei nuovi arrivati e delle loro famiglie.
In Germania ne programmano più di un milione di necessari al rinnovo della forza lavoro.
In Ungheria invece l’autolesionismo della chiusura spinge il cosiddetto governo, qui serve l’aggettivo, a una legge che obbliga e costringe i cittadini a fare quattrocento ore di lavoro straordinario all’anno. Sono otto ore di lavoro in più a settimana. Si può immaginare la produttività di questo supplemento estorto.
Da noi il caso è farsesco: la chiusura dei porti. Cioè la chiusura a quelle sole imbarcazioni che vorrebbero effettuare uno sbarco regolare. Tutte le altre continuano a viaggiare e approdare alla spicciolata lungo le coste, senza che l’informazione le nomini. Si sa ugualmente dalle cronache del quotidiano Avvenire, evidentemente l’unico informato.
Chiusura dei porti: dalle mie parti, a Napoli, si usa dire di una misura sballata e inutile che, siccome è morto quello che faceva i fazzoletti, non ci si può soffiare il naso (risparmio la versione originale).
Tale è la chiusura dei porti: le persone continuano lo stesso a soffiarsi il naso e i viaggiatori partono in pieno inverno, salgono sulle barchette, navigano a fortuna e sbarcano evitando i porti.
Il ministro è quello che ha così proibito l’uso dei fazzoletti.
Queste note mi servono a dire che l’accoglienza di forza lavoro è, in regime di sobrietà, utile e profittevole, là dove esiste un governo senza aggettivi.
Ma da noi il fatto non sussiste, sostituito da caso clinico di disturbo della percezione e del comportamento.
Ogni tanto un pigolìo parlamentare accenna a una richiesta di dimissioni di questo o di quell’altro malcapitato pubblico ministro.
La questione però non è politica e la parola da usare è interdizione per incapacità di intendere e volere.
Quando questa pagina sarà pubblicata, se non sarà avvenuta l’auspicabile misura di contenimento del danno con la misura sanitaria d’interdizione, il farsesco sarà arrivato alla crisi di astinenza da qualunque ragionamento. E’ uno degli ultimi stadi dell’ubriacatura.
A quel punto qualunque satira sarà insufficiente. Comunque ai nostri satiri manca del tutto la qualità corrosiva del Saturday Night Live della NBC statunitense.
Intanto i migratori delle necessità continuano ad arrangiarsi con l’appoggio del più magnifico, gratuito, coraggioso movimento del mondo dei volontari e di volenterosi.

 

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