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Lotte Dann Treves e Angelica Balabanov

Penso di aver sentito questo nome per la prima volta da Paolo, il quale anche lui, lo conosceva solo per sentito dire e diceva che aveva fama di essere la donna più brutta e più intelligente di …. Non so se del mondo, d’Europa, della Russia o di non so che, si diceva anche che fosse stata l’amante di molte persone, tra cui Mussolini. Lei lo negava, e siccome era una persona della più schietta sincerità, sono incline a crederle. Credo che si sia trovata in Svizzera contemporaneamente con lui prima o all’inizio della guerra del 14 – 18 e ricordo che disse a Paolo che il futuro duce le faceva tanta compassione, che spesso non è lontana dal disprezzo.

Diceva di essere la sedicesima figlia dei suoi genitori, nata in una città chiamata Cernoviz ma non parlava mai della sua famiglia né della sua infanzia, salvo a dirmi che sua madre diceva: “una donna per bene deve aver vergogna di se stessa”. Era quella generazione di donne cui era vietato vedere, o peggio guardare il proprio corpo, si faceva finta che le parti dalla cintura in giù e le loro funzioni non esistessero; se era indispensabile farvi riferimento, lo si faceva con metafore complicate e circonlocuzioni. Non conosceva la propria data di nascita e per poter riempire questionari e moduli ne aveva inventata una, 4 agosto 1876.

Non credo che abbia avuto rapporti con i suoi famigliari dopo aver lasciato la Russia da giovanissima, per studiare in Francia o in Belgio, dove secondo internet, si sarebbe laureata in lettere e filosofia.

Non so sapesse quale fosse stata la sorte della famiglia durante e dopo la rivoluzione.

Certo, ha studiato anche in Italia, con Antonio Labriola. So che durante la prima guerra mondiale era in Svizzera e ha fatto parte di quel gruppo di socialisti-pacifisti che firmarono l’internazionale di Kiental, detta anche internazionale due e mezzo (tra la seconda, socialista, e la terza, comunista), che voleva fare la pace ad ogni costo nel 1917. Sicuramente è stata la segretaria della Terza Internazionale fino al giorno in cui ruppe i rapporti con Lenin e lasciò la Russia.

La vidi per la prima volta al Congresso del Partito Socialista a Palazzo Barberini, in cui si consumò la scissione tra “Nenniani” e “Saragattiani”.

Non saprei se i miei primi contatti, solo indiretti, con lei fossero avvenuti prima o dopo quel congresso.

Una storia di tutt’alto genere: mentre stavo finendo di fare i bagagli, nell’aprile 1939 per lasciare l’Italia, si era presentato uno studente antifascista di medicina che conoscevo per essere l’amico di uno degli allievi interni dell’istituto di anatomia, non del mio corso, ma più giovane. Questo inatteso visitatore, m’incaricò di trasmettere ad un indirizzo di Londra un messaggio che questa persona avrebbe dovuto poi inoltrare ad un gruppo antifascista di Parigi. Messaggio e indirizzo da tenere a memoria, nulla di scritto. Finita la guerra, quando Paolo è andato con Saragat ambasciatore a Parigi, dove io dopo l’ho raggiunto, avevo fatto amicizia con una antifascista che dopo aver passato mesi in un campo di concentramento era stata liberata insieme alle sue compagne francesi. Si era presentata all’ambasciata d’Italia nella speranza di poter tornare a Milano e vi aveva trovato Paolo che conosceva perché cugino del miglior amico di suo fratello; questa antifascista, era andata a trovare una sua compagna di prigionia all’albergo Lutetia, dove si raccoglievano i reduci dai campi. Lei aveva parlato di me e dal letto era saltato su questo ex-studente di medicina eccitatissimo e desideroso di sapere se parlasse proprio di me e che fine avessi fatto. Naturalmente sono andata subito a trovarlo e siamo rimasti in rapporto epistolare quando lui fu mandato in Svizzera, credo dalla Croce Rossa, per curarsi dalla tubercolosi contratta nei campi. Da lì un giorno mi scrisse che la tubercolosi aveva intaccato la laringe ed io sapevo come sapeva lui, che questo significava la morte a breve scadenza. Era stata sintetizzata da poco ma non era ancora in commercio la Streptomicina, l’unico antibiotico attivo contro il bacillo di Koch. Non ricordo assolutamente chi mi abbia detto che l’unica persona in grado di procurare questo rimedio era Angelica Balabanov. Né so dire se mi fossi io stessa rivolta a lei. Fatto sta che Gianni ebbe la Streptomicina, guarì dalla laringite tubercolare e fin quando sono rimasta i rapporto con lui, viveva a Davos, esercitando la professione di medico.

Non so dire quando abbia incontrato personalmente Angelica Balabanov. Ricordo però che Paolo l’andò a trovare, mentre Claudio piccolino ed io lo aspettavamo in macchina. So solo che, uscendo, Paolo disse: “ l’unica persona che capisce”. So che l’abbiam vista più volte dopo d’allora, ma non ricordo come e quando abbiamo ripreso i nostri rapporti dopo la morte di Paolo.

Lei mi voleva bene e mi attribuiva dei meriti che certamente non avevo. Aveva un divertente rapporto con Claudio: durante un breve periodo in cui fu ospite in casa nostra, perché stavano ridipingendo la sua stanza nella pensione in Prati, dove allora abitava, a tavola si facevano gradi discussioni di politica, Claudio faceva le parti del presidente del consiglio, Antonio Segni, io facevo il presidente dell’assemblea – cioè davo la parola – e lei impersonava di volta in volta chi discuteva col ragazzino. Durante quel suo soggiorno in casa nostra, l’ho aiutata a correggere le bozze del suo libro “Lenin visto da vicino”, che l’editore avrebbe voluto intitolare “Incontri e scontri con Lenin”, ma lei optò fermissimamente per il titolo più modesto “Lenin, visto da vicino”.

Non sono mai riuscita a farle dire quante lingue sapesse. So che parlava alla perfezione, oltre al russo, francese, inglese, tedesco e italiano. In italiano era innamorata della parola “incommensurabile”, che usava quando noi altri diciamo: “Grandissimo”, “immenso” o “gigantesco”. Ha fatto parte, insieme a Paolo, di una delegazione del partito che si è recata nei paesi scandinavi e Paolo mi ha raccontato che lei ha risposto nelle rispettive lingue ai discorsi in danese e norvegese.

L’ultimo periodo della sua vita l’ha passato in un appartamento nel quartiere dei fiumi, ospite di una brava signora, di cui non ricordo il nome e che mi pare fosse la madre di una impiegata del partito socialdemocratico. Là sono andata qualche volta a trovarla e sono anche capitata nel momento in cui ha avuto un malore. Avevo infatti appena suonato il campanello, quando ho udito grida allarmate e ho aspettato un bel po’ prima che mi aprissero la porta, avendo sistemato la paziente a letto. Da quel letto non doveva più alzarsi ed è morta qualche giorno più tardi, il 25 novembre 1965. E’ sepolta nel cimitero di Porta San Paolo, dove riposano, accanto a molti russi, i poeti inglesi Shelley e Keats e il figlio di Goethe.

 

Lotte Dan Treves

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