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Un mestiere di frontiera

Il prossimo settembre saranno 5 anni che la nostra Marisol Castro è stata assassinata dalle bande dei narcos a Nuevo laredo, Messico. Ho chiesto ad amici giornalisti di scrivere un articolo sul senso del giornalismo di ricerca, denuncia, testimonianza in zone dove il rischio di morire per il proprio dovere giornalistico, è più che reale e concreto, così come testimonia il sacrificio e amore della libertà e contro le ingiustizie che Marisol ci ha offerto. Ecco una prima risposta di Giampiero Valenza giornalista dell’agenzia ANSA.

Andrea Cantaluppi

Un mestiere di frontiera

A borderland job(PDF)

Un trabajo de frontera(PDF)

 

Quando vai in area di crisi, per raccontare i luoghi caldi del mondo, sai già a cosa vai incontro. All’inizio non sai come muoverti, in questa galassia fatta di gente e luoghi sconosciuti. Culture diverse (magari anni luce dalla tua) che devi interpretare per cercare di raccontarle al meglio. Marisol viveva in un’area di crisi. Quella era la sua casa, che conosceva in ogni angolo. Marisol era una con la schiena dritta che se ne fregava del suo essere disabile perché voleva fare il suo mestiere. Voleva indagare e farlo lì, in quella frontiera dove gli affari dei narcotrafficanti si fanno a peso d’oro. Lo faceva prima di tutto perché a casa sua, Marisol, voleva persone perbene. Secondo una delle regole classiche di chi fa questo mestiere, il giornalista fa il “cane da guardia” del potere. Ciò, inteso come quello che controlla che la comunità non sia distrutta dai soprusi e che un sistema democratico possa vivere regolarmente. Marisol, un po’ come tutti i cronisti che “battono la strada” delle notizie, ha esteso questo concetto non solo a chi riveste cariche politiche più o meno elettive, ma anche a chi viene coinvolto in qualunque azione sociale (quindi, anche l’intervento della malavita organizzata nella comunità). Lei voleva testimoniare come nel suo luogo di frontiera, Nuevo Laredo, ci fosse del marcio profondo che puzzava di droga, di armi e di traffico di esseri umani. Lo ha fatto denunciandolo sempre. In questi casi capita che ti senti solo nel denunciare casi del genere. E ti trovi in un mare di silenzio, dove anche un semplice attestato di stima per il tuo lavoro porterebbe a far sentire il rumore di una goccia di pioggia che cade nel mare. La immagino davanti al muro di indifferenza di chi avrebbe potuto, con lei, contrastare questa maggioranza silenziosa di malaffare che condiva ogni strada. Che ha portato quei narcotrafficanti a sentirsi padroni del mondo e ad ucciderla, spogliarla, decapitarla ed esporla così davanti alla città. Davanti a quelle persone perbene incapaci di muoversi davanti a un muro di omertà.

A borderland job(PDF)

Un trabajo de frontera(PDF)

 

di Giampiero Valenza

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