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Il coraggio e la vergogna di essere italiano.

Ci sono parole dette da figure di alto profilo morale, istituzionale, religioso che ci scuotono e lo fanno in modo dirompente già quando vengono pronunciate in momenti informali, figuriamoci se un credente le ascolta da un arcivescovo nel corso di un rito solenne, altamente simbolico, come quello di una ordinazione sacerdotale, così da portare alla luce questioni che alcuni vorrebbero marginali, personali. Parole come quelle pronunciate dall’altare dall’arcivescovo di Lucca, monsignor Paolo Giulietti, che hanno attraversato la bellezza delle navate della cattedrale romano-gotica di San Martino gremita da un migliaio di persone. Monsignor Giulietti, rivolgendosi a uno dei tre ordinandi originario dello Sri Lanka, ha detto: “ Ti chiedo scusa, carissimo Antony, perché ai tuoi genitori è stato impedito di essere oggi qui con te, a rendere grazie a Dio per il dono del tuo sacerdozio. Anche a noi è stato impedito di dire loro il nostro grazie per un figlio che servirà una Chiesa e un popolo diversi dai suoi, lontano dalla sua casa e dalla sua famiglia. Voglio dirti sinceramente, e lo scriverò, che oggi mi vergogno di essere italiano”.

Una festa, quella che ha vissuto la Chiesa di Lucca, scossa dunque da una denuncia sintomatica di questi tempi, che ha imposto all’arcivescovo Giulietti di rendere pubblico all’assemblea il dolore suo personale per quanto accaduto ad Antony, un giovane sensibile arrivato da lontano e dalla fede maturata negli anni, che aspirava di poter vivere insieme ai propri genitori questo momento di gioia assoluta, arrivato dopo anni di studio, di riflessioni, di fatiche. Nato a Negombo, in Sri Lanka, nel 1988, Antony ha frequentato il seminario minore di Colombo, capitale del suo Paese e ha poi proseguito gli studi a Roma presso l’Istituto Mater Ecclesiae. Un percorso religioso lineare che lo ha riportato di nuovo nel suo Paese, che però, per varie traversie, ha dovuto abbandonare per tornare a trasferirsi in Italia, proprio a Lucca.

Qui, per tre anni, si è impegnato a lavorare come badante. Un mestiere faticoso, a contatto con la sofferenza, che certamente ha contribuito a far rinascere potente il suo desiderio di dedicare la  vita a Dio e a i fratelli. Antony, dopo averne parlato con il suo parroco e con l’arcivescovo Paolo Giulietti, ha potuto completare la sua formazione presso il seminario interdiocesano  di Pisa. Un cammino dunque non facile, ma vissuto con determinazione ed offuscato infine solo dal rammarico di non poter avere al suo fianco i genitori, per il rifiuto del visto turistico, proprio il giorno della sua ordinazione. La tristezza di Antony è stata condivisa da molti membri della comunità cingalese di Lucca, riunitisi intorno a lui in una cattedrale gremita all’inverosimile. Monsignor Giulietti, visibilmente turbato, ha annunciato all’assemblea la sua decisione di scrivere un messaggio al Ministero degli Esteri italiano e all’Ambasciata italiana in Sri Lanka. “Un grande paese come il nostro, – ha sottolineato durante la cerimonia – che è stato faro di civiltà e di umanesimo, si è mostrato prigioniero delle proprie paure. Fino al punto di negare un visto turistico a un papà e a una mamma che volevano partecipare all’ordinazione del figlio. Il Signore ci  aiuti ad essere davvero una Chiesa capace di portare speranza a un mondo che evidentemente ha più paura che fiducia nel futuro”.

Monsignor Giulietti, nato nel 1964 a Perugia, eletto alla guida della Chiesa di Lucca nel 2019, all’interno della CEI ricopre l’incarico di Presidente della Commissione Episcopale per la famiglia, i giovani e la vita ed è figura sensibile alle tematiche ambientali e sociali. Spesso si è trovato in posizioni di contrasto nel contesto di una città un tempo definita “bianca”, ma oggi bloccata da paure e chiusure, che hanno portato perfino ad esprimere come vice-sindaco l’ex responsabile cittadino di Casa Pound. 

Le parole di esordio dell’omelia dell’arcivescovo, rivolte a tutti e tre i nuovi preti, confermano la sua posizione pastorale in un contesto complesso come quello di Lucca: “Abbiamo bisogno di preti che sappiano aprire la comunità all’esterno… non una comunità timida, chiusa nelle proprie sagrestie, nei propri problemi… Una Chiesa attenta a ciò che accade intorno a sé, ai piccoli, ai poveri, agli ultimi, ai giovani, alle famiglie e ai lavoratori”. Un linguaggio fedele alla linea di papa Francesco, ma anche di papa Leone XIV, che due giorni dopo, nel corso del primo incontro rivolto ai vescovi della CEI, ha detto:” Non abbiate tiore di scelte coraggiose! Nessuno potrà impedirvi di stare vicino alla gente, di condividere la vita, di camminare con gli ultimi, di servire i poveri. Nessuno potrà impedirvi di annunciare il Vangelo, ed è i Vangelo che siamo inviati a portare, perché è di questo che tutti, noi per primi, abbiamo bisogno per vivere bene ed essere felici”.

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