QUANDO LA GUERRA TEMUTA BUCA LE TASCHE DEI CITTADINI!
Secondo i calcoli di Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), le spese militari a livello mondiale nel 2023 hanno raggiunto la cifra record di 2.240 miliardi di dollari, pari al 2,2% del Pil mondiale. Un record, pauroso direi! Anche perché, quasi ovunque, si fa fatica a reperire fondi adeguati per l’istruzione, la sanità o la difesa dell’ambiente. Mediobanca spiega che nei tre anni 2022-2024 il rendimento azionario delle prime 30 industrie militari quotate in borsa è risultato pari al 72% più del triplo di quello registrato dall’indice azionario mondiale.
Investire o, caso mai, spendere risorse pecunarie in armi, piuttosto che in ambiente, ricerca, istruzione non solo nuoce al benessere della cittadinanza, ma, alla lunga, è un allarme reale per il futuro stesso dell’umanità. Evidentemente se si allunga la coperta della spesa in un settore produttivo, si accorcia o riduce in un altro. Per es., nel decennio 2013-23, la spesa militare nei paesi Nato ha raggiunto +46% in un momento di forte stagnazione economica.
Nel caso particolare dell’Italia, in quello stesso decennio, le spese militari in generale sono salite del 26% e quella specifica per la produzione di armi del 132%%. Una crescita quasi insignificante è invece avvenuta nel campo della sanità (11%), istruzione (3%) e tutela dell’ambiente ((6%). Dato che il Pil è cresciuto meno di 1% all’anno, è evidente l’assorbimento di risorse già esigue per le spese militari.
Tale carenza di equità fra le spese militari e le spese a beneficio dei cittadini, già menzionate, lascia perplessi. Non si vuole negare una certa prudenza nel voler premunirsi, anticipando tempi difficili, né si vuole puntare il dito verso una classe politica dominata da eccessivi timori di tempi burrascosi. Ma non si può vivere all’insegna di una guerra inesistente, ma possibile all’interno di ulteriori sviluppi della politica internazionale.
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