ArticoliMarilou Rella

Guerra, sopraffazione, onore e vendetta.

La ricetta del “maschilismo tossico” al potere e il tracollo delle democrazie occidentali. La guerra contro donne e bambini che continua, anzi aumenta.

Nel 2023 i civili uccisi nei conflitti armati in tutto il mondo sono aumentati del 72%. Lo ha dichiarato Volker Turk, capo dell’agenzia ONU per i diritti umani, esprimendo allarme per il tasso di donne e bambini uccisi: la percentuale di donne uccise nel 2023 è raddoppiata, e quella dei bambini è triplicata, soprattutto a Gaza e in Sudan. I bambini vengono reclutati dai gruppi armati, incarcerati, torturati, feriti, mutilati, rapiti, uccisi, molti di loro rimangono orfani: 13 mila bambini uccisi in Siria in dodici anni di conflitto, quasi duemila in Ucraina dall’inizio dell’invasione russa, e l’attuale guerra israeliana a Gaza ha portato ad un aumento senza precedenti del numero delle uccisioni di bambini. “Questa è una guerra contro i bambini, la loro infanzia e il loro futuro”, ha dichiarato Philippe Lazzarini, Commissario generale Unrwa. “Siamo qui per capire chi siamo. E noi siamo i bambini di Gaza, gli ostaggi israeliani, le famiglie dei soldati russi e le famiglie dei soldati ucraini che piangono i loro morti”. Gino Strada, chirurgo d’urgenza nelle più disparate aree di guerra nel mondo, ricordava che nei conflitti armati successivi alla seconda guerra mondiale il numero delle vittime civili ha subito un incremento esorbitante: dal 15% durante la prima guerra mondiale al 60% nella seconda, fino ad arrivare al 90% odierno. Un dato inquietante che dimostra quanto a pagare il prezzo delle guerre non siano mai coloro che le provocano, bensì la preparazione impreparata, non addestrata militarmente che, in scenari di guerra sempre più apocalittici, sprofonda nella più totale vulnerabilità fisica e psicologica. Le “guerre giuste” non esistono perché non è detto che in guerra vinca “il più giusto”, di solito vince il più forte. I paesi dell’Alleanza Atlantica si sentono più forti. E finanche superiori culturalmente, ma se storicamente le parti si invertissero, e i più forti diventassero i dittatori che combattiamo? E in qualche modo questo sta già succedendo con la superpotenza cinese che sfida quella statunitense. Entrare nella logica della guerra significa anche contemplare l’eventualità che la vincano i nostri avversari. È una scommessa che assomiglia ad una roulette russa. Non da ultimo, le guerre del novecento si sono combattute con armi meno potenti e sofisticate, e allora la popolazione era più disposta ad arruolarsi, mentre negli attuali paesi occidentali lo è molto meno. Studi demografici e sociologici attestano che nei paesi poveri ci sono molti più giovani, i quali, avendo meno da perdere di noi, sono più motivati a combattere. Su questo piano, i paesi occidentali hanno sì più armi, ma meno uomini disposti al sacrificio. Nessuno pensa che i negoziati siano la panacea di tutti i mali. Non è facile neanche la pace, come ha detto Papa Francesco: “ Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra”. Ma non abbiamo alternative. Abbiamo ormai imparato anche che la democrazia non si esporta con le bombe. Invece il nostro dibattito è elementare, propagandistico, azzerato da slogan del tipo: “Come gli Stati Uniti ci hanno liberato da Hitler, ci libereranno anche da Putin”. Ma le circostanze storiche, geopolitiche e le dotazioni militari non sono le stesse di allora, e dunque il discorso politico e mediatico dovrebbe essere aggiornato e fondato su nuovi presupposti. I più anziani adottano le logiche del passato – vedi la gerontocrazia al potere negli USA di Biden e Trump – ma i giovani sono obbligati a guardare al futuro, altrimenti si torna all’età della pietra. Una scelta addirittura antistorica, a mio avviso. Le manifestazioni pro Palestina dimostrano che i giovani hanno capito le logiche dei dopo standard, ci hanno ricordato che il “mai più” deve essere un “mai più per tutti”. Il mondo è cambiato, cambia continuamente, e la Storia è vero che si ripete, ma anche avanti. Il metodo americano ha “funzionato” nella seconda guerra mondiale contro il nazismo, peraltro con l’enorme contributo dimenticato dell’Armata Rossa, (20 milioni di morti russi, n.d.r.), e due bombe atomiche lanciate su due città, e non su obiettivi militari.  Non è detto che quel metodo vinca all’infinito, penso che abbiamo il dovere morale di inventarci qualcos’altro. Ed eventualmente anche morire, ma non per combattere, bensì per inventarci altro. Come scrive Branko Marcetic, in un recente articolo su Jacobin Italia: “Il recente attentato a Trump dimostra come la violenza sia stata per troppo tempo la soluzione di riferimento per le istituzioni politiche statunitensi, la violenza e la sua giustificazione pervadono le azioni e le parole anche delle voci più ragionevoli in America e in Europa. Gli Stati Uniti sono oggi coinvolti in due guerre eccezionalmente sanguinose, e quella contro i palestinesi è ormai largamente considerata un genocidio. All’opinione pubblica viene continuamente ripetuto che la violenza è la soluzione appropriata, giusta – spesso unica – ai mali del mondo. La volontà colonialista e imperialista ancora permea le nostre coscienze, la schiavitù non è mai finita. l’abbiamo esportata nei paesi poveri e poi è rientrata dalla finestra anche nelle nostre democrazie. Il tentativo di omicidio di Trump dovrebbe essere un campanello d’allarme che sottolinea quanto siano facilmente accessibili le armi nella società statunitense e quanto quel sistema sia ormai fuori controllo. Molti prima di noi hanno tentato strade diverse e ci hanno indicato la via: Gandhi, Martin Luther King e Mandela, Don Milani, Danilo Dolci, Maria Montessori, Kant che già nel 1795 pubblicò Per la pace perpetua, opera che ha successivamente ispirato la Dichiarazione universale dei diritti umani, Voltaire con il suo Trattato sulla tolleranza del 1763, Einstein e Russell che nel 1955 scrissero un manifesto contro il riarmo nucleare che fu sottoscritto da numerosi scienziati vincitori di premi Nobel. Non ci mancano le idee e gli esempi, che troviamo diffusamente anche nella società civile di numerose associazioni che operano da sempre, al di fuori dei riflettori, per promuovere solidarietà e giustizia. Non siamo soli.

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