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RETRIBUZIONE UNIVERSALE: SOGNO REALIZZABILE?

Non sono state poche le reazioni in seguito all’ affermazione contenuta nella Lettera ai Movimenti Popolari di Papa Francesco, resa nota il giorno di Pasqua (12.4.2020):

Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universaledi base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti.

Come suggerisce la seconda parte del titolo di questa riflessione: lodevolissimo il sogno, ma realizzabile!?! Specialmente al momento attuale, quando la pandemia minaccia di rimettere in ginocchio l’economia mondiale, come ai tempi della depressione economica di circa un secolo fa? Meno male che anche Francesco appare non proprio così sicuro, quando afferma: “forse è giunto il momento…”.

Continuo a domandarmi: si tratta di un salario minimo riservato a coloro che lavorano o di un reddito destinato a tutti, senza condizioni, lavoratori e no? Lo stesso quesito è affrontato nei vari interventi di economisti: sembra chiaro che Francesco abbia in mente proprio tutti, soprattutto coloro che nell’attuale descrizione rimangono invisibili, dietro le quinte della narrazione contemporanea: i malati, gli anziani, gli indigenti, i senza fissa dimora….Centinaia di milioni di persone che sognano terra (cibo), casa (tetto) e lavoro (reddito).

Sono incessanti i dibattiti intorno alle implicazioni concrete insite nel cosiddetto salario minimo o reddito universale. Elemento di notevole rilievo è che questi dibattiti avvengono nei palazzi governativi, università, centri di ricerca del Primo Mondo. Gli altri mondi rimangono quasi sempre muti, senza potere decisionale.

Nel 2018, secondo la Banca Mondiale, oltre 4 miliardi di persone vivevano ancora sotto la soglia di una esistenza precaria (- 6 dollari al giorno per persona), con 820 milioni che fanno la fame. Nello stesso anno, si rivelava (Oxfam) che l’ 1% degli individui più ricchi del pianeta aveva percepito un reddito pari all‘ 80% del PIL mondiale.

Al flusso di analisi scientifiche sulle attuali disuguaglianze globali si accompagna un altro flusso di strategie, soluzioni graduali, interventi vari rivolti a risollevare le sorti dei meno fortunati. Orchestrati il più delle volte senza il coinvolgimento dei tanti abbienti. Per esempio, si parla di ecologia come un bene comune a tutto il mondo. E lo è. Per salvaguardare tale bene universale, non sarebbe saggio imporre un’imposta globale sul carbonio, applicata alle 100 multinazionali responsabili per il 70% delle emissioni? Gli enormi guadagni potrebbero essere distribuiti, meglio restituiti, alle popolazioni che vivono sotto la soglia di povertà. Una forma di compensazione occulta per un bene comune come quello dell’atmosfera. Questa, nonostante il disfacimento ad opera di pochissimi, rimane un bene comune, di tutti. Appunto per questa ragione, fondamentale in questo gioco di squadra resta una mossa ineludibile: nessun discernimento o decisione collettiva siano siglati, se non quando non venga data l’opportunità di “dir la loro” anche a quelli che sono relegati nelle tante periferie della nostra società globale. Altrimenti si corre il rischio grave di svuotare di senso sia della retribuzione, sia come universale.

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