Antonio Vermigli articoliArticoli

Vento di destra nel mondo

GIOVEDI’ 4 APRILE ALLE ORE 18 PRESSO LA CGIL CONFEDERALE A ROMA, GIORNATA INTERNAZIONALE PER LA LIBERAZIONE DI LULA.
Bolsonaro. Il fascismo di ritorno in BrasileBolsonaro. Il fascismo di ritorno in Brasile

Jair “Messias” Bolsonaro, il primo gennaio ha preso possesso del primo governo eletto dall’estrema destra del Brasile.

Con lui, non è possibile nessuna negoziazione. E nemmeno lui cerca una qualsiasi forma di negoziazione con tutti coloro che non comunicano i suoi credo, che non lodano i suoi torturatori e che non ritengono che “è duro essere padrone in Brasile”.

La logica che comanderà d’ora in poi, è quella della guerra. Perché questo non è un governo, questo è un attacco.

Nel suo discorso d’insediamento è stato molto chiaro. Le questioni economiche e sociali sono rimaste in secondo piano, mentre le due parole più citate sono state “Dio e ideologia”.

Dio stava là, a quanto pare, per liberarci dalla “crisi morale” nella quale la repubblica brasiliana si trova attualmente.

Di fatto come si può giustificare un governo il cui ministro della giustizia e della sicurezza, il giudice Sergio Moro, ha ricevuto l’incarico, proprio come premio per aver condannato Lula, il candidato a Presidente più popolare, dietro le sbarre e aver aperto la strada per la vittoria del suo capo attuale?

Come descrivere un governo che nasce con ministri sospettati di corruzione e u reo confesso che si fa beffa della popolazione brasiliana quando afferma “ho già fatto i conti con Dio”, a riguardo delle sue malefatte?

Come descrivere un presidente il cui autista è stato preso in flagrante nell’esecuzione di operazioni finanziarie assolutamente sospette e si è rifiutato per due volte di comparire dinanzi alla giustizia senza nemmeno essere stato oggetto di un’azione di prigione coercitiva?

Ma il distacco più evidente è la nuova lotta dello stato brasiliano contro la “ideologia”. Uno dei suoi primi atti di governo è stato quello di diminuire il valore dell’aumento del salario minimo, mostrando così il suo disprezzo per la sorte delle classi economicamente più vulnerabili.

Bolsonaro ha convocato i suoi accoliti alla grande crociata nazionale per lottare contro il socialismo, per ritirare dalle scuole la spazzatura marxista, cancellare l’insegnamento di Paulo Freire per impedire che la bandiera gialloverde brasiliana si dipingesse di rosso.

L’attuale occupante della presidenza sa che la sua sopravvivenza dipende dalla lotta continua contro l’alternativa che mai è stata tentata in Brasile, che non ha mai messo in discussione il sistema economico finanziario e tutti i sistemi autoritari che opprimono il Brasile stesso.

Di fatto in quel paese mai nessuno ha tentato di espropriare i mezzi di produzione per darli all’autogestione degli stessi lavoratori; nessuno ha cercato di smontare lo Stato per passare le proprie attribuzioni a consigli popolari, realizzando la democrazia diretta, e neppure ha portato all’estrema necessità la lotta per l’uguaglianza economica e sociale che permette a tutti i soggetti di esercitare la propria libertà senza essere schiavi della miseria e della spogliazione economica.

Cioè, la vera mancanza nella società brasiliana che potrebbe emergere in situazioni di crisi come questa, è un socialismo reale senza paura di proclamare il proprio nome. La società ha il diritto di conoscerlo, di pensare a suo riguardo, di tentare ciò di cui essa non ha mai visto neanche l’ombra. Essa ha il diritto di inventarlo a partire dalla critica e dall’autocritica del passato.

Ma contro questo è necessario far tacere tutti coloro che non si accontentano con la vita così come è imposta da questa nuova associazione macabra di militari, pastori protestanti, latifondisti, finanzieri, banchieri, affaristi illuminati da Dio, che hanno preso d’assalto il governo ma che sempre, anche con i governi di Lula e di Dilma, hanno dato le carte, in forma diretta o indiretta.

Così, quando Bolsonaro parla che lotterà contro la spazzatura marxista nelle scuole, nelle arti, nelle università, capite che questa lotta sarà la cosa più importante del suo governo, l’unica condizione della sua sopravvivenza. Lui sa di fatto da dove potrà arrivare la sua fine, dopo che sarà evidente il tipo di catastrofe economica e sociale verso la quale lui sta portando il Paese.

Jair “Messias” Bolsonaro, il primo gennaio ha preso possesso del primo governo eletto dall’estrema destra del Brasile.

Con lui, non è possibile nessuna negoziazione. E nemmeno lui cerca una qualsiasi forma di negoziazione con tutti coloro che non comunicano i suoi credo, che non lodano i suoi torturatori e che non ritengono che “è duro essere padrone in Brasile”.

La logica che comanderà d’ora in poi, è quella della guerra. Perché questo non è un governo, questo è un attacco.

Nel suo discorso d’insediamento è stato molto chiaro. Le questioni economiche e sociali sono rimaste in secondo piano, mentre le due parole più citate sono state “Dio e ideologia”.

Dio stava là, a quanto pare, per liberarci dalla “crisi morale” nella quale la repubblica brasiliana si trova attualmente.

Di fatto come si può giustificare un governo il cui ministro della giustizia e della sicurezza, il giudice Sergio Moro, ha ricevuto l’incarico, proprio come premio per aver condannato Lula, il candidato a Presidente più popolare, dietro le sbarre e aver aperto la strada per la vittoria del suo capo attuale?

Come descrivere un governo che nasce con ministri sospettati di corruzione e u reo confesso che si fa beffa della popolazione brasiliana quando afferma “ho già fatto i conti con Dio”, a riguardo delle sue malefatte?

Come descrivere un presidente il cui autista è stato preso in flagrante nell’esecuzione di operazioni finanziarie assolutamente sospette e si è rifiutato per due volte di comparire dinanzi alla giustizia senza nemmeno essere stato oggetto di un’azione di prigione coercitiva?

Ma il distacco più evidente è la nuova lotta dello stato brasiliano contro la “ideologia”. Uno dei suoi primi atti di governo è stato quello di diminuire il valore dell’aumento del salario minimo, mostrando così il suo disprezzo per la sorte delle classi economicamente più vulnerabili.

Bolsonaro ha convocato i suoi accoliti alla grande crociata nazionale per lottare contro il socialismo, per ritirare dalle scuole la spazzatura marxista, cancellare l’insegnamento di Paulo Freire per impedire che la bandiera gialloverde brasiliana si dipingesse di rosso.

L’attuale occupante della presidenza sa che la sua sopravvivenza dipende dalla lotta continua contro l’alternativa che mai è stata tentata in Brasile, che non ha mai messo in discussione il sistema economico finanziario e tutti i sistemi autoritari che opprimono il Brasile stesso.

Di fatto in quel paese mai nessuno ha tentato di espropriare i mezzi di produzione per darli all’autogestione degli stessi lavoratori; nessuno ha cercato di smontare lo Stato per passare le proprie attribuzioni a consigli popolari, realizzando la democrazia diretta, e neppure ha portato all’estrema necessità la lotta per l’uguaglianza economica e sociale che permette a tutti i soggetti di esercitare la propria libertà senza essere schiavi della miseria e della spogliazione economica.

Cioè, la vera mancanza nella società brasiliana che potrebbe emergere in situazioni di crisi come questa, è un socialismo reale senza paura di proclamare il proprio nome. La società ha il diritto di conoscerlo, di pensare a suo riguardo, di tentare ciò di cui essa non ha mai visto neanche l’ombra. Essa ha il diritto di inventarlo a partire dalla critica e dall’autocritica del passato.

Ma contro questo è necessario far tacere tutti coloro che non si accontentano con la vita così come è imposta da questa nuova associazione macabra di militari, pastori protestanti, latifondisti, finanzieri, banchieri, affaristi illuminati da Dio, che hanno preso d’assalto il governo ma che sempre, anche con i governi di Lula e di Dilma, hanno dato le carte, in forma diretta o indiretta.

Così, quando Bolsonaro parla che lotterà contro la spazzatura marxista nelle scuole, nelle arti, nelle università, capite che questa lotta sarà la cosa più importante del suo governo, l’unica condizione della sua sopravvivenza. Lui sa di fatto da dove potrà arrivare la sua fine, dopo che sarà evidente il tipo di catastrofe economica e sociale verso la quale lui sta portando il Paese.

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