Filippo Roncaccia racconti breviRacconti Brevi

LE SIGNORINE

Seguitavamo. Pure com’era conciato gliele davamo ancora. Addosso al petto, su per la gola e dentro gli occhi mi si riempiva tutto col gusto di vederlo patire; era roba d’animali, lo sapevo e mi piaceva anche di più;  a un certo punto pareva che con quei lamenti muti volesse pigliare quello che gli rimaneva in corpo per ritirarsi su con la mano aperta proprio incontro a me: “Senti, …”. Gli toccò mandarsi giù metà del sangue che gl’era andato in gola e di quell’altro dovette per forza farne un boccone e sputarselo di fuori cogli spezzoni dei denti che gl’avevamo fatto partire a calci e cazzotti. Non lo so perché quel momento m’ero fermato; forse era perché gli altri se ne volevano andare. Con quella mano mi tirava il braccio, quasi seduto sopra un sasso. Messo viso e viso il marcio dei denti mischiato col sangue in bocca e in faccia faceva proprio puzza di merda; se ne riandò giù un’altra volta perché le punte delle costole gli davano addosso ai polmoni quando voleva respirare. Moriva ma non mi veniva di finirlo: “Senti, … prova a chiamare pure quelli; dovete sentire assolutamente qualche cosa”. Quegli occhi li conoscevo; non era tanto per qualche parentela, musi visti già da qualche parte o altro che fosse; quanto il fatto che per come me li metteva addosso pareva proprio lo sguardo di mio padre. Più giù, vicino l’argine si sentiva l’acqua fare un salto strano e la luce lasciava il bagliore proprio sopra quel fiotto: “Oh, venite a sentire! Questo vuole fare testamento!” “Dagliene un altro po’ e muoviti che il roscio qua si scola tutto!” “Non vengono nonnetto. Te ne vuoi andare così o ti sistemo per bene io?” “Ma, devono venire! È uno scambio. Voi, m’avete fatto questo e io vi dico quello … è importante; è importante. Chiamali un’altra volta per piacere!” “… Aeh! Questi vecchi sanno le cose! E se ci dice dov’hanno nascosto i soldi quelli della banda del fosso? … Può essere, no?”  Con questo, sempre per ridere però, ritornarono giù pure loro. Non ci voleva nient’altro che una sassata dietro la testa; non aveva reagito prima, figuriamoci adesso e però sempre da come metteva gli occhi si capiva com’ era urgente sentirlo parlare. Piano piano mi si raccomandava per farsi sistemare comodo alla meglio. Il bere che avevamo fatto mi ridava addosso ai timpani così le parole parevano solo un po’ più forti dell’acqua che passava là sotto. “È una storia senza meno però è proprio un fatto successo per davvero e quando ve l’avrò detto lo saprete voialtri solamente”. Ci guardò uno per uno dritti in faccia; e quel momento era scritto che la paura dovevamo avercela noialtri. “Però aiutatemi a non schiattare prima”. La puntura delle coste addosso ai polmoni gli fece dare una botta forte di tosse e dovette farsi sboccare un altro bel fiotto di sangue: “… Se vi da fastidio questa roba non mi guardate più, è giusto; ma la storia è importante. A quell’epoca pure io avevo famiglia e stavo su da Giunti come capooperaio”. Tutti quelli d’una certa età quando nominavano la cava davano sempre una botta di sguardo in su verso dove stava il posto. “La sera, di più quando cominciava la stagione nuova, uscivo sempre a farmi due passi là attorno dove abitavamo. E una volta, con la luna bella grossa e rotonda si vedeva il riflesso tutto addosso alla vetrina del negozio di mode “Rossana”; così m’avvicinai. Mi ci misi proprio davanti a guardare due di quelle pupazze tutte vestite coi tailleur e i cappellini. Lo sapete, no? Ogni tanto c’è chi  s’invaghisce di qualcuna dentro un quadro, un manifesto oppure magari una fotografia. È normale e può essere senza meno per quella luna così forte che quelle due cominciarono a piacermi così. Ancora non ci facevo tanto col vino; perciò cominciai subito a credermi di diventare matto, quando vedevo che tutt’e due mi muovevano occhi e bocca; … e ridevano!”  Era per davvero tanto lo schifo a guardargli la faccia; ma proprio perché gli occhi gli venivano fuori da tutto il resto dello scuro di fango e sangue lo dovevamo guardare senza scampo. E così seguitava: “S’erano messe sedute su due sgabelli presi lo stesso dalla vetrina e ancora mi ridevano dall’altra parte del vetro e cominciavano a chiedere come mi chiamavo e che facevo”. Il fiume seguitava per bene come doveva essere di quella stagione. E a ripensarci pareva che fossero diventati tanto amici da parlare tutti e due alla stessa maniera; come fossero stati d’accordo per farci rimanere là a sentire la storia: “ Era stata la luna a farci prendere, io da loro due e loro da me. Mi dicevano tutte cose da innamorati con la voce che un po’ gli gorgogliava per via del vetro e rimasero tristi quando vedevo che oramai era tardi per stare ancora fuori e glielo dissi per andarmene via. Mi risposero che forse quella era l’unica e ultima volta che si sarebbero svegliate e poi non m’avrebbero rivisto più; invece gli dissi che l’amore le avrebbe fatte svegliare ancora; era sicuro. La volta dopo, giorni più in là, la luna era forte lo stesso e le ritrovai già messe sugli sgabelli. Una si sballottava sopra il sedile e si sbracciava con la mano ancora un po’ da distante e l’altra si teneva le mani e si passava la punta della scarpa sopra il polpaccio. Mi dissero di entrare ch’avevano aperto la porta del negozio. Che bella luce che c’era là dentro di notte! Il retro era già tutto sistemato. La pelle gli profumava d’arancia, vaniglia e tuberose. Dopo, sul sofà seguitavano a chiedere di tutto quello che c’era fuori da quel negozio e io glielo dicevo. Gli raccontavo della cava, di casa mia e del fiume. Mi venne da ridere quando mi dissero che mia moglie chiedeva a tutti quanti in giro se sapevano che accidenti facevo la notte visto che non ero mai ubriaco e le camicie sapevano di profumi da donna. Alla fine certi la chiamavano la scema. Andò avanti così parecchio tempo ogni volta che la luna era forte e poi quella zoccola di Rossana decise che là da noi faceva pochi affari; diceva  che se ne sarebbe andata ad aprire da una parente verso Bologna; tutta un’altra parte perciò. Penso che loro due poverelle saranno rimaste sempre di plastica e il dolore avrei dovuto cibarmelo tutto io. Almeno spero perché da quelle parti la luna mica dovrà essere tanto forte come da noialtri no?” Gli feci di si. Quegli occhi erano strani fatti così gonfi per le lacrime. “Allora me la presi col vino. Lo fanno in tanti è normale e voialtri pure lo sapete. Cominciai a fare sbagli in cava finché successe un botto grosso e mi mandarono in galera. Mia moglie e i figli non m’hanno voluto più e così … ecco qua”.  “Ma senti, se ti portiamo all’ospedale …” “No, no; che c’è da fare oramai? E se dovete dire com’è successo vi mettono pure in galera per colpa mia. Lasciamo perdere così figlioli miei. È stato uno sbaglio e fossi stato come voialtri può darsi che l’avrei fatto pure io”. Ci sbatteva gli occhi in faccia uno a uno un’altra volta: “Ma è la storia che vi dovete ricordare! È quello l’importante, capito? Che conta adesso un vecchio senza casa né niente. Oramai non c’è più manco il nome. Me n’avete date così tante che non  me lo ricordo come mi chiamo! La storia invece vi può servire sempre, non è vero?” S’inferocivano quelle due stelle azzurre in mezzo all’impiastro di sangue tutto in faccia, sempre peggio mano a mano che gli veniva di tossire e sputare ma intanto ancora ci s’aggrappava alle braccia, uno e un altro: “Ve la ricorderete sempre la storia; si, si”. Con la luce dal cielo e sull’acqua, dove lo stendemmo la faccia aveva ripreso il profilo. Il naso lungo e dritto pareva addirittura ritornato sano e la bocca abbastanza grande era gonfia ma ci se ne accorgeva solo quel poco. I giorni appresso stemmo ognuno per conto suo e per non dare sospetto ancora meglio mi forzai ad andare a negozio con mio padre. M’ero già messo d’accordo col roscio e quegli altri per dargli fuoco così non m’avrebbero rotto più i coglioni per farmi lavorare ma quei giorni dovevo fare sacrificio e starmene di dietro al banco a servire i clienti. Arrivò il camion, il secondo giorno, e scesero certi manichini: “Ma a che ci serviranno?” “Oltre alle stoffe adesso vendiamo articoli d’abbigliamento. Il paese s’ingrandisce, la città sta lontano e allora la clientela potrà venire a comprare i vestiti pure da noialtri. Dai una mano a scendere la roba”. Già mi pareva d’averlo visto quando stavamo a metterli di sotto al magazzino ma adesso che mano a mano mio padre me li faceva riportare di sopra per vestirli ce n’era uno che era quasi lo stesso del vecchio per faccia e naso. Ma soprattutto gli occhi: uguali a come li vidi quella notte per lungofiume. Quando la luna piena sta bella alta dicono che è la notte dei lupi mannari e se sei balordo com’ero io a quelle cose ci devi credere per forza. Eppure uscii lo stesso. Mi misi pure io davanti alla vetrina del negozio con un bel rimbalzo di luce ch’andava di rinquarto su tutta la vetrina. La luna dava la stessa cosa di quell’altra sera; me la sentivo in petto mano a mano che respiravo e fino su per tutta la gola. Aspettavo ma intanto mi guardai attorno e m’ero voltato pure dietro verso la via casomai fosse arrivato qualcuno. “Figliolo, … oh, figliolo!” Mi rigirai ancora. Papà gli aveva messo una giacca di lino sciallata in doppio petto e un panama bianco in testa: “Vedi, gli scherzi che fa la luna?” Pure morto mio padre, parecchio tempo dopo, lo tenni dentro al negozio e ogni volta che volevo dare fuoco a tutto per fregare l’assicurazione, così mi sarei potuto mettere bello tranquillo, lui mi diceva di no. Volevano farmelo buttare perché oramai era decrepito. Lo feci solo quando chiusi bottega per sempre, perché me l’aveva detto lui.

Filippo Roncaccia

 


 

“ Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri. L’obbedienza non è più una virtù”.

don Lorenzo Milani

 

” However, if you have the right to divide the world into Italians and foreigners, then I will tell you that, in your meaning, I have no homeland and I claim the right to divide the world into disinherited and oppressed persons on one hand, privileged persons and oppressors on the other. The first ones are my homeland, the others are my foreigners. Obedience is no longer a virtue “.

don Lorenzo Milani

 

“Si vosotros pero tienes el derecho a dividir el mundo en italianos y extranjeros, entonces yo digo que, en vuestro sentido, yo no tengo patria y reclamo el derecho a dividir el mundo en desheredados y oprimidos por un lado, privilegiados y opresores por el otro. Los primeros son mi patria, los otros mis extranjeros. La obediencia ya no es una virtud.”

don Lorenzo Milani

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