ArticoliPiero Fortini racconti breviRacconti Brevi

Magro

di Piero Fortini

Sono più magro.

Asciutto, filiforme, scavato. Incavato e puntuto come un quadro di Schiele. Ho ridotto proteine scansando carne rossa; dimezzato carboidrati lesinando sulla pasta ed eliminando il pane; decimato gli zuccheri bandendo dolci e frutta secca; ho perso ferro disattendendo i legumi, potassio sdegnando banane, sali minerali trascurando di bere e vitamine indifferente alla frutta.

Sono più magro.

Mangio in automatico. Non faccio più caso ai sapori, non sento gli odori, non distinguo i colori nel piatto. Ho i muscoli inerti e sono privo di desideri. Guardo dalla finestra un frammento di mondo, mi sembra così lontano. Vorrei inoltrarmici, raggiungere il primo lampione, ma la mia poltrona non schioda.

Ho perso anche l’amore, in questa stanza troppo piccola per ospitare una sostanza così complicata: le nervature dei sogni, la stazza degli scontri, le ossa scarnificate dalla sincerità, le mani che ti colgono impotente, la forza di affidarsi, il non restare solo, autocentrato, il prendere atto che un altro si è insediato nella tua vita con i propri bagagli.

E le luci del mondo si fanno più fioche, oscurate da strepiti erotti dai sottoscala, da funamboli sollevati a nemmeno un metro da terra, da cecchini orbi che sparano su tutto ciò che si muove, da file infinite di epigoni emulatori, da processioni rumorose assemblate da torpore e spavento. E non esiste più storia né discernimento, irrilevanti sono fatti e parole e pensare, conoscere, sezionare, esperire, confrontare.

Dovrei catapultarmi in strada, con la tronfia sfrontatezza di essere il primo. A creare oggetti della propria passione, consumare il necessario e il meglio, imparare il giusto, guadagnare quanto serve, fissare qualche appuntamento, andarci a piedi o in metro, invitare qualcuno a pranzo e imparare a cucinare, salutare gli sconosciuti, sentirne la mancanza, fidarmi ciecamente di chi mi cammina alle spalle, infondere coraggio con l’ultimo filo di voce, ascoltare lamenti senza lamentarmi, essere io quello che da ragione, che parla con idee altrui citandone la paternità, che lavora con rischio andando oltremisura, prendendosi le responsabilità e dire ci sto, io sono qua.

E vedere l’effetto che fa.

Se mi ritroverò da solo, in un deserto lunare, scansando detriti di vite sfarinate o se mi troverò circondato,  sballottolato, sbrindellato, puntellato, abbracciato da un’onda ribollente di persone che camminano con gambe innervate di radici e penetrando la terra guardano lontano con occhi smaglianti, rischiarando la notte che si ritrae impaurita, stupita da questa serena avanzata esplosiva.

Devo decidere, in un confine sottile, se mangiare meno e dimagrire o fare un metro verso il cortile.

(86)

Loading