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Terra Murata

Autore: Giovanni Di Sarno

48 miglia nautiche dal traverso di punta Imperatore. Ecco, casa mia è lì, da qualche parte della foschia all’orizzonte, tra un pò calerà la sera che sprigionerà tutti gli odori ammalianti di maggio. La gente rincaserà o s’attarderà’ intorpidita per strada vinta dalla primavera che si fa pian piano estate. Guarderanno il mare che si inscurisce col cielo, o si abbandoneranno alla brezza gentile che entra dalle finestre finalmente aperte. Tutto è una promessa di dolcezza e avventura, Maggio è così, un mese che racchiude in se il tradimento, perfetto per i tradimenti. C’è una vita lì, che non mi appartiene, una vita in cui centro, ma che si fa senza di me. E’ sempre la stessa storia , la stessa paura che provavo da ragazzo guardando le luci della costa. Laggiù mi sembrava ci fosse sempre una festa dalla quale ero escluso, il mondo cambiava ed io non ne sapevo niente. Il giorno prima ero lì e poi, all’improvviso, mi ritrovavo da qualche altra parte con la sensazione di aver lasciato qualcosa di terribilmente importante in sospeso. In realtà in sospeso non c’era proprio niente, quel che si poteva fare non era stato fatto per pigrizia o per un gusto perverso dell’ineluttabile. Ma quella paura ti segue per tutto l’imbarco, avvelena l’entusiasmo dei giorni che precedono il tuo ritorno, è accanto a te mentre metti la valigia a terra, sulla tua terra. Ma la tua terra, dopo sei mesi, dopo un anno è la luna, è Marte, è più sconosciuta di qualsiasi porto dove tu sia stato e dove comunque hai un ruolo. Dovunque tu sia sceso dal tuo ferro, sei stato un marinaio in franchigia, uno per cui è lecito essere spaesato ma che contemporaneamente ha la certezza di quelle quattro cose da fare: mangiare, comprare qualcosa, andare a puttane, e non farsi fottere in qualche vicolo. Ma qui, nel posto dove ti fermi, è un’altra storia. Cosa sarà successo? Le persone saranno cambiate? La mia donna m’avrà aspettato? In quale palla saranno i miei amici? Hai immaginato per giorni e giorni il tuo arrivo, ti sei aggrappato con le unghie ad un affetto, ad un tramite tra te e la terra ed ora hai paura che sto pezzo di legno scompaia e che tu non abbia nulla di su cui poggiarti in questo pericolosissimo sconfinato oceano che è la vita fuori dalla nave. Una volta mi ricordo arrivai a notte fonda, non avevo avvisato nessuno, trascinai la mia valigia sulla strada deserta e stordito dal silenzio arrivai fino al punto in cui si dominava la Golfata. Aspettai l’alba a guardare ancora un pò quel mondo immaginato per giorni e giorni, il mostro dormiva e al suo risveglio avrebbe potuto mangiarmi il cuore. Che poi arriva un giorno in cui, finalmente, il cuore te lo divora davvero e tu non puoi farci proprio niente come quando l’onda t’alza la prua e devi accettare il fatto che possono essere gli ultimi istanti della tua vita. Si così. Conosco le facce degli uomini nella tempesta: paura, paura, paura e poi arriva quella, l’onda giusta che ti può far perdere la sincronia, scassare i finestroni, rompere i boccaporti, è allora che vedi gli occhi del marinaio a fianco a te chiudersi leggermente e le rughe distendersi. Che tanto combattere stanca. E così, capisci che devi partire con un bagaglio leggero, che è meglio lasciarsi poco o nulla alle spalle. E così ho fatto io e per anni, non ho più avuto paura di partire ne di ritornare. Guardavo il profilo di Terra Murata avvicinarsi e poteva essere il promontorio di una qualsiasi parte del mondo. La mia terra era solo un posto dove riposarmi tra un imbarco e l’altro, giorni e giorni e giorni al riparo da tutta questa enormità che può sprigionare un dolore contro il quale, tu non sai se hai ancora le forze per opporti. E il tutto era la conseguenza logica di mille presagi, di segnali che allora non sapevo interpretare. L’enorme tristezza che mi prendeva nel guardare la mia ombra proiettata sulla banchina ondeggiare, e capire che anch’io avevo acquisito quell’andatura buffa che avevano i vecchi marinai. Un turbine che mi girò intorno, in un piazzale di porto e che sembrava quasi volermi parlare. Il silenzio sulla prua di una superpetroliera sotto il sole equatoriale. I lamenti delle navi in disarmo. Tutto mi diceva che non avevo scampo e che il mio mondo era lì. Poi, l’angoscia si fa sogno, e nei sogni tu sei lì e vedi la tua donna felice con un altro, il tuo amore che ride e che non sa più nulla di te. Sei un morto che guarda le cose dall’alto di nessun paradiso. So che la vita in una maniera o nell’altra non ti da scampo, c’è un costo per qualsiasi sopravvivenza, c’è qualcosa da perdere in cambio, sempre. Anche una vita tranquilla ha il suo prezzo, anche la vicinanza ai tuoi affetti ha il suo logorio, e magari il fatto che abbia scelto questa maniera di campare, implica che forse non avrei saputo gestirlo. Ho vissuto, si, e il prezzo è giusto. E chi non mi ha aspettato ha fatto bene. Ma io devo continuare ad aspettarmi, non posso e non devo dimenticarmi di me. Non ho altro. Ora capisco che l’ho fatto per anni, e la mia terra non è solo il metro quadro dove poggiano i piedi delle persone che ami. La mia terra, è dove io sono, dove la mia anima è presente, meravigliosa e viva . Dove il vero è visibile all’orizzonte per quanto irraggiungibile. E’ su questo foglio, qui, dove frange l’onda che viene dal cuore.

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