Alberto CammozzoArticoliRacconti Brevi

Mitologie

Accogliamo con grande curiosità e simpatia un breve racconto inviatoci da Cre-Al. A breve ne sentirete ancora parlare. E’ una persona che, avendo toccato i vertici dell’impalpabile tecnologico, ha aperto una riflessione profonda con se stesso sul senso dell’uomo e del suo vivere. Il suo racconto prende spunto dalla mitologia e arriva fino a noi tracciando un percorso di responsabilità e presa di coscienza.

Spirito humor e menefreghismo carrieristico tracciano un quadro quanto mai attuale del senso di spregiudicatezza votata alla carriera e non all’umanità.

Buona lettura.

Andrea Cantaluppi.

Pasifæ Inc. di Alberto Cammozzo

Grazie per avermi chiamato. Mi chiamo Dedalo: inventore, programmatore e designer di robot. Avete letto il curriculum, forse avete sentito parlare di me… Beh, si sono proprio quel Dedalo.
Già, già, quello del progetto Mino; avrete sentito un mucchio di storie… la maggior parte sono balle. Sarò franco: è vero che non mi sono preoccupato molto di cosa sarebbe venuto fuori dal progetto Mino. Sono un ingegnere, uno bravo, non per vantarmi, ma tra i migliori. La Pasifæ Inc. aveva un problema da risolvere e tutti i soldi che servivano per farlo. Begli uffici, laboratori magnifici, colleghi molto svegli, ottimo stipendio, assicurazione sanitaria e pensione integrativa fantastiche, tutti i bonus, macchina aziendale… Tutto quello che uno può desiderare, e anche più. Ma soprattutto, quel progetto era una sfida pazzesca. Veramente impossibile. C’era molta ricerca da fare, e nessun limite e bel budget per i prototipi… fantastico! I requisiti del progetto erano chiarissimi: la compagnia sapeva esattamente quello che voleva, anche se era qualcosa di assolutamente… ehm… non convenzionale. E, modestamente, solo io potevo farlo, e loro lo sapevano. Sapete la storia, si trattava di accoppiare un dispositivo Toroidale Poseidon a… beh, magari scendo nei dettagli un’altra volta…

Ma sul serio, credetemi, non è stato per i soldi. Era l’idea di mettermi alla prova, di affrontare e superare il problema tecnico. Come ha detto una volta quel tizio, Oppenheimer, si quello della bomba atomica: «quando vedi qualcosa che è tecnicamente dolce, vai avanti e discuti su cosa farci dopo solo dopo che hai ottenuto il tuo successo». E’ esattamente quello che ho fatto. Ho ottenuto un successo. Ho costruito il robot. Era un gioiello, una bellezza, ha funzionato alla perfezione al primo colpo, non un difetto, neanche una sbavatura. Beh, certo, come potevo prevedere le conseguenze? Era la prima volta che si faceva una cosa del genere… Ragazzi, certo, devo ammettere onestamente che quello che è venuto fuori era una cosa francamente spaventosa, e capisco che a quelli del governo scocciava vederlo andare in giro a spaventare la gente: “è inquietante” dicevano. Però non potevano nemmeno farlo sparire e alla fine si sono posti seriamente il problema di cosa farci. Era un problema tecnico difficile e complicato, così hanno dovuto assumermi di nuovo e ho personalmente disegnato e inventato “Il Labirinto ®”. Un gran bel brevetto. Tecnicamente si trattava di un “dispositivo aperto di confinamento orientativo” concepito per contenere il risultato del progetto Mino, ma senza rinchiuderlo. Non per vantarmi, ma vi assicuro che anche quello era un bell’oggetto: una soluzione elegante, un disegno raffinato, perfino artistico. E funzionava benissimo: la Pasifæ Inc. era deliziata. Ma quei maledetti burocrati del governo si sono ancora messi di mezzo: erano scocciati per i costi di manutenzione e per via di tutti quegli incidenti con quelli che non riuscivano ad uscire… Ma era colpa mia? E io che ci potevo fare? Eppoi questo è il progresso, vogliamo forse tornare al medioevo? Però quei maledetti hanno inventato un sacco di balle, finchè alla fine mi hanno chiuso dentro a Il Labirinto®, e così ho dovuto ingegnarmi di nuovo, questa volta per scappare… E quello, signori, è stato veramente il mio capolavoro, ma anche il mio più grande dolore. Costruire le ali, imparare a volare… Dio che conquista, che emozione! Nessuno aveva mai fatto nulla del genere prima di me! Ma il mio povero Icaro, il mio bambino, il mio prodigio… era troppo giovane, troppo audace. Glielo dissi almeno cento volte: la tecnologia devi imparare a controllarla, devi conoscerne bene i limiti, i rischi, devi prevedere i dettagli, il caso peggiore, anticipare tutti le possibili conseguenze delle tue azioni… eh… Scusate la commozione, ma questa è una storia troppo triste, per favore non fatemi parlare ancora.

… Ma, così va la vita, e bisogna andare avanti… Ehm, sentite, e a proposito di questa mia domanda di impiego? Che dite? Mi prendete? E’ mio il posto?

– Padova, febbraio 2017

Note
Su cosa disse Oppenheimer

«when you see something that is technically sweet, you go ahead and do it and you argue about what to do about it only after you have had your technical success»
[quando vedi qualcosa che è tecnicamente dolce, vai avanti e discuti su cosa farci dopo solo dopo che hai ottenuto il tuo successo]

US Atomic Energy Commission – Personnel Security Board. “Proceedings: Hearing of Robert Oppenheimer – Volume 2.” Washington DC., 1954. http://www.osti.gov/includes/opennet/includes/Oppenheimer%20hearings/Vol%20II %20Oppenheimer.pdf.

«Per quanto perverse e pazze possano essere le idee di quelli che sono al potere, […] ci saranno sempre di tecnici disposti a soddisfarle, che saranno affascinati dal problema tecnico e che non penseranno alle conseguenze. Per usare la terminologia di Oppenheimer, Dedalo deve aver trovato la sua mucca un animale dolce»

Hendrik Brugt Gerhard Casimir, Haphazard Reality: Half a Century of Science (Amsterdam University Press, 2010), 103.

Framenti scelti su Dedalo da I miti greci di Robert Graves
Dedalo era un ottimo fabbro, poiché Atena stessa l’aveva iniziato a quell’arte.

Uno dei suoi apprendisti, Talo, figlio della sorella di Dedalo, Policasta o Perdice, l’aveva già superato in abilità all’età di soli dodici anni. Taio raccolse un giorno l’osso della mascella di un serpente o, come altri dicono, una spina di pesce; e accortosi che se ne poteva servire per tagliare un bastone a metà, ne copiò il modello in ferro e inventò così la sega. Questa e altre utili invenzioni, quali la ruota da vasaio e il compasso per tracciare i cerchi, gli procurarono così vasta fama ad Atene che Dedalo, il quale rivendicava il merito di aver inventato la sega, ne divenne oltremodo geloso.

Si fece dunque accompagnare da Talo sul tetto di un tempio di Atena sull’Acropoli e, fingendo di indicargli qualcosa che si muoveva a grande distanza, lo spinse giù dal cornicione. L’invidia non sarebbe tuttavia bastata a indurlo a quel gesto: ma egli sospettava Talo di avere rapporti incestuosi con sua madre Policasta. Dedalo si precipitò poi ai piedi dell’Acropoli e chiuse il corpo di Talo in una sacca, proponendosi di seppellirlo in un luogo deserto. Interrogato dai passanti, rispondeva di aver raccolto un serpente morto, come la legge prescriveva, il che non era del tutto falso, poiché Talo era un Eretteide; ma ben presto apparvero macchie di sangue sulla sacca e il delitto fu scoperto. L’Areopago condannò Dedalo all’esilio per omicidio; secondo un’altra versione, invece, egli fuggì prima che avesse luogo il processo.

Dedalo si rifugiò in uno dei demi attici, i cui abitanti presero da lui il nome di Dedalidi; poi riparò a Cnosso in Creta, dove re Minosse fu ben lieto di accogliere un artefice così dotato.
Frattanto Minosse aveva sposato Pasifae, figlia di Elio e della Ninfa Creta, altrimenti nota come Perseide. Posidone, per vendicarsi dell’affronto fattogli da Minosse, fece sì che Pasifae si innamorasse del toro bianco sottratto al sacrificio. Essa confidò la sua insana passione a Dedalo, il famoso artefice ateniese che ora viveva in esilio a Cnosso e deliziava Minosse e la sua famiglia con le bambole animate che intagliava nel legno. Dedalo promise il suo aiuto a Pasifae e, avendo costruito una vacca di legno ricoperta con una pelle di vacca e montata su quattro ruote abilmente celate negli zoccoli, la spinse in un prato nei pressi di Gortina, dove il toro di Posidone stava pascolando sotto le querce tra le vacche di Minosse. Dedalo mostrò a Pasifae come introdursi nella

vacca dlegno attraverso uno sportello scorrevole sistemando le gambe nelle zampe posteriori, e si ritirò poi discretamente. Ben presto il toro bianco trotterellò verso la finta vacca e la montò: così Pasifae poté soddisfare il proprio desiderio e diede in seguito alla luce il Minotauro, un mostro con la testa di toro e il corpo umano»

[…] Minosse, saputo che Dedalo aveva aiutato Pasifae ad accoppiarsi con il toro bianco di Posidone, lo rinchiuse nel Labirinto con il figlio Icaro, la cui madre, Naucrate, era una delle schiave di Minosse. Ma Pasifae li liberò entrambi.

Minosse consultò un oracolo per sapere come potesse evitare lo scandalo e nascondere il mostruoso figlio di Pasifae. La risposta fu: «Chiedi a Dedalo di costruire un nascondiglio a Cnosso». Dedalo obbedì e Minosse passò il resto della sua vita nell’inestricabile Labirinto, al centro del quale celò Pasifae e il Minotauro.

Non era facile, tuttavia, fuggire da Creta, poiché Minosse faceva sorvegliare tutte le navi e offrì inoltre una ricca ricompensa a chi avesse catturato Dedalo. Dedalo costruì allora un paio di ali per se stesso e un altro paio per Icaro; le penne più grandi erano intrecciate le une alle altre, e le più piccole erano saldate con della cera. Dopo aver legato le ali alle spalle di Icaro, Dedalo gli disse con le lacrime agli occhi: «Figlio mio, stai attento! Non volare mai troppo in alto, perché il sole farebbe sciogliere la cera; né troppo in basso, perché le piume potrebbero essere inumidite dal mare». Infilò poi le braccia nelle proprie ali e si alzò in volo. «Seguimi da vicino», ordinò al figlio, «e non cambiare direzione!» Mentre si allontanavano dall’isola verso nordest, battendo ritmicamente le ali, i contadini, i pescatori e i pastori che alzarono lo sguardo verso di loro li scambiarono per dèi. Quando si furono lasciate Nasso, Delo e Paro alla sinistra e Lebinto e Calimne alla destra, Icaro disobbedì agli ordini del padre e cominciò a volare verso il sole, inebriato dalla velocità che le grandi ali imprimevano al suo corpo. A un tratto Dedalo, guardandosi alle spalle, non vide più suo figlio, ma soltanto delle piume sparse che galleggiavano sulle onde sotto di lui. Il calore del sole aveva disciolto la cera e Icaro era precipitato in mare, annegandovi. Dedalo volò a lungo in quel luogo, girando in tondo, finché il cadavere emerse; lo portò allora in una vicina isola, chiamata ora Icaria, dove lo seppellì

Frattanto Minosse aveva allestito una grande flotta e partì alla ricerca di Dedalo. Portò con sé una conchiglia di Tritone e ovunque giungesse prometteva una ricompensa a chi fosse stato capace di farvi passare da un capo all’altro un filo di lino: egli sapeva che soltanto Dedalo era in grado di risolvere quel problema. Giunto a Carnico, egli offrì la conchiglia a Cocalo proponendogli di tentare la prova e Cocalo la passò a Dedalo che subito scoprì come fare. Legato un filo sottilissimo a una formica, praticò un forellino sulla punta della conchiglia e indusse la formica a introdursi nelle sue spirali interne ungendo di miele questo foro. Poi legò un filo di lino all’altra estremità del filo più sottile e la formica li fece passare ambedue attraverso il forellino. Cocalo portò la conchiglia a Minosse chiedendo la ricompensa promessa e Minosse, certo di aver trovato finalmente il nascondiglio di Dedalo, ordinò che questi gli fosse consegnato. Ma le figlie di Cocalo non volevano separarsi dall’artefice che costruiva per loro splendidi balocchi e col suo aiuto tramarono ai danni di Minosse. Dedalo introdusse un tubo nel tetto della stanza da bagno e attraverso quel tubo versò acqua bollente o, come altri sostengono, pece bollente, su Minosse che stava facendo un bagno tiepido. Cocalo, che aveva forse partecipato alla congiura, restituì poi il cadavere ai Cretesi dicendo che Minosse, inciampando in un tappeto, era caduto in un calderone d’acqua bollente.

(47)

Loading