Fiabe

Il gallo del Mulud

Eravamo alla sera della festa della nascita di Sidna Mohammad. In tutte le famiglie le donne erano indaffarate attorno ai canun. Da tutte le case proveniva un profumo di chorba aromatico, di dolci, di miele e soprattutto, dominante tra gli altri, di brodo di pollo.

Perché, se la tradizione vuole che si debba sgozzare un montone in ricordo del sacrificio dell’ariete di Abramo per la festa dell’Aid el  Kabir, per quella della nascita del profeta, in tutto il mondo musulmano, si sacrifica un pollo. Le partorienti hanno infatti come costume, ai loro primi giorni d’uscita, di mangiare del pollo in ricordo di Fatima Zohra, figlia del profeta, che avrebbe ritrovato le sue forze in seguito alla nascita di Hassan e Hossein.

Gli uomini qualche giorno prima, danno l’assalto ai souk nei dintorni per scoprire le più belle specie di galli, i cui canti mattutini, nelle casbah, sono un preludio sonoro a questa grande festa.

Ora, in una di quelle case  dove coabitavano diverse famiglie lungo delle gallerie a portici d’un patio comune, c’era una famiglia di poveri operai che vedeva con angoscia che la precarietà del loro avere non le avrebbe consentito il più piccolo acquisto. Avere solo un pezzo di ane da mangiare il giorno del Mulud… e sentire i galli di tutti i vicini nel cortile, che supplizio!

L’uomo era rassegnato. Ma sua moglie, così astuta di fama da essere soprannominata “Aicha el Qadra”, (la sempre capace), non smetteva di brontolare: “è Mulud! Neanche il più piccolo, il più magro pollo da mettere in casseruola…”. “Cosa vuoi non ho trovato il più umile dei lavori”. “Guarda il gallo del vicino, lo trovi bello? È grasso? Per loro due e i loro due bambini soltanto!”. “E’ la volontà del Signore”. “Ma quel gallo potrebbe facilmente sfamare almeno sei persone. Tu vedrai se sarò capace di organizzare una bella festa di Malud! Lascia fare a me”.

Allora, Aicha spiegò al marito la scena che aveva ideato.

“Io vado a sedermi sulla soglia della porta e guarderò i preparativi delle vicine. Tu arriverai con un grosso bastone. Io rientrerò. Tu batterai con tutte le tue forze sul materasso in modo che i colpi vengano sentiti. Griderò, piangerò. Tu urlerai: “Questa sera, ti caricherò di legnate più dele altre volte, vedrai. Poi te ne andrai, quando rientrerai, un’ora più tardi, rimarrai sulla soglia della porta”.

Tutto si svolse nel modo prestabilito. Ora, dietro le tende delle finestre del patio, tutti i via vai vengono spiati in silenzio dalle vicine.

Abbiamo visto l’uomo venire; abbiamo sentito le botte; l’abbiamo visto andarsene e rometterle di servire una razione più sostanziosa di legnate alla sera al rientro. Abbiamo soprattutto udito le urla e le grida della moglie.

Dunque, la vicina dal gallo sontuoso sul quale si erano lungamente attardati gli occhi di Aicha, si presentò, racconsolò la moglie in lacrime e l’invitò a casa sua per la cena del Mulud. Nella pentola cuoceva lentamente il pollo. L’odore del brodo era dilettevole. Insieme le donne attesero caritatevolmente il ritorno del marito pseudo irascibile.

Il vicino, desideroso di festeggiare quella ricorrenza religiosa con un’azione di pace e di riconciliazione, andò gentilmente ad invitare il marito di Aicha, quando lo vide sulla soglia della sua porta. “Vieni! Tua moglie è a casa nostra! Festeggiamo insieme il Mulud!”.

L’uomo, apparentemente imbronciato, si sedette nel circolo famigliare, dove aveva già preso posto la moglie.

Il padrone di casa tagliò l’eroi del festino. Poi, come è d’uso, giacché bisogna sempre onorare gli ospiti, la padrona di casa piazzò il piatto al centro del tavolo, dove troneggiavano i pezzi del magnifico gallo, dicendo: “Dividilo, a te l’onore di distribuirlo!”.

Allora Aicha, “la sempre capace”, considerò con attenzione questo piatto regale. Poi, lentamente, con solennità, procedette all’attribuzione di ogni sua parte:

“ Le ali sono per i due bambini, il collo è per quello che è andato a cercarlo nel souk, la coscia è per l’uomo infelice. Il codione è per la bellezza incomparabile. Il bianco del petto è per me, il petto di tutti i miei pensieri”.

(fiaba del nord Africa)

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