Christoph BakerRacconti Brevi

Breve inventario delle cose che contano.

Da alcuni giorni mi trovo su un’isola in Grecia. Sontuosi tramonti accompagnano la fine delle giornate qui sul mare Egeo. Regnano una pace e una calma indescrivibili. È l’inverno nel mediterraneo, lontano dall’invasione implacabile e dello schiamazzo permanente dei turisti.

L’atmosfera porta alla contemplazione e alla meditazione. Si può lasciare che la mente insegui pensieri, intuizioni, divagazioni varie. Possono riaffiorare ideali ingialliti e vecchie chimere. Si può passeggiare lungo il viale della memoria, bighellonando fra le stagioni della propria vita, soffermandosi su questo o quell’altro ricordo. Mica c’è fretta, mica devo correre dietro a chissà quale imperativo. Così, sulla scia del pensiero, capita che una vocina dentro ti chieda: Christoph, ma quali sono per te le cose che contano nella vita?

Ecco, allora, questo breve inventario, senza ordine di priorità o di preferenza. Solo una piccola lista, nella quale spero che qualcuno si riconoscerà. Almeno un po’.

COMINCIAMO.

L’amicizia.  Per me forse il bene più prezioso che abbia ricevuto dalla vita. Sono consapevole che qui entra in gioco la fortuna. L’amicizia mica si ottiene con una ricetta. È un dono, e in quanto tale, arriva all’improvviso. Ma una volta che c’è, va coltivato come il più bel giardino. Perché l’amicizia non può essere presa alla leggera. Non può ritenersi scontata, giammai meritata. Gli amici sono quelli che ti accompagnano lungo le strade tortuose dell’esistenza. Che ci sono per fare baldoria, come nei momenti di difficoltà. Gli amici ti possono sgridare, metterti in crisi, farti sentire miserabile. Ti possono mostrare i tuoi limiti, i tuoi difetti. Ma lo fanno proprio per affetto, senza calcoli, senza interesse. E ti accompagnano per diventare un uomo migliore. O meno sbagliato. Nel mio cuore, c’è la mia collezione di amici. E la fortuna che questa collezione continua ad aumentare, anno dopo anno.

Il viaggio. Ringrazio i miei genitori, che ci hanno fatto viaggiare (con le mie sorelle) dalla più tenera età! Infatti, se non ricordo le due prime attraversate dell’Atlantico in nave (avevo 6 e 11 mesi), le altre cinque sì. Oggi, la gente può pensare che con Google e YouTube e altri siti virtuali, si può girare il mondo come se uno ci fosse. Ma che ne sanno del viaggio? Dove il cammino è importante quanto la meta. Il viaggio è fatto di sorprese, di stupende scoperte, di scombussolamenti, di misteri. Vuoi mettere i profumi di lande sconosciute, lingue incomprensibili, case completamente diverse dalle nostre, modi di mangiare, di giocare, di cantare così intriganti? Il viaggio alla scoperta, ma anche il viaggio a ritroso. Per tornare nei luoghi cari, belli, fondamentali di una vita. Come oggi per me, qui in Grecia.

Gli alberi. La mia storia con gli alberi è cominciata nella mia infanzia. Pini magri dell’Alta Loira. Pini paffuti della campagna ginevrina. Anche castagni e tigli. Peri, meli, ciliegi. E poi, ogni anno di più, gli ulivi del Mediterraneo. Ho sempre sentito rispetto per questi coinquilini del mio mondo. Gli ho scalati, ci sono caduto, mi sono inebriato con i loro profumi, ho accarezzato le loro scorze, a volte dure, a volte lisce. A Tsagkarada nel Pilion, c’è un platano che ha più di millecinquecento anni. Ho sentito la sua augusta energia. Nella pianura sotto Ostuni, ci sono ulivi plurisecolari che sembrano vecchie figure di un teatro medievale. Ho un affetto speciale per i salici piangenti, come quelli lungo i canali di Christchurch. I loro rami scendono verso terra come le nostre braccia quando non ce la facciamo più. Sarei un’anima in pena nel deserto. Fino alla prima oasi…

Il mare. Lo sto fissando mentre scrivo, il mio amato Mediterraneo. Il mare bianco, il mare interiore, la grande bleue. Nella mia vita il Mediterraneo condivide il posto speciale nell’anima mia con il suo grande fratello, l’Atlantico. Per avere solcato le sue acque mitiche in transatlantici, traghetti e barche a vela. Il primo bagno dell’anno nelle acque del mediterraneo è sempre una forma di rito religioso. Alzo la testa e guardo dritto al sole. In quei momenti, so di fare parte dell’universo, so che il piccolo io è baciato dagli dei. Ho i ricordi delle montagne della mia infanzia, conosco il richiamo romantico delle vette innevate. Ma oramai, fanno parte del passato. Oggi, ho bisogno della risacca sulla spiaggia, dei gabbiani che urlano nel cielo, dei venti tempestosi come della calma piatta, dall’isola di Southport a quella di Skopelos, so dove è casa. E spero di viverci ancora a lungo.

La musica. Quante melodie nella vita! Dal canto degli uccelli alle foglie nel vento. Dal brusio delle api al miagolare del gatto. Al silenzio della foresta, che non è mai silenzio, ma sottilissimo mormorio. Un giorno sembra che un compositore del primo barocco abbia sentito due uccelli cantare all’unisono due note diverse. Era nato l’accordo minore nella musica classica. Dal violoncello alla chitarra, dal canto al ballo, non c’è stato via di ritorno. la musica fa parte integrante della mia vita, non ne posso fare a meno. Che la suoni o che l’ascolti, è sempre fonte di gioia, di emozione, di meraviglia. Anche a volte di struggente tristezza. Quando la musica parla all’anima.

La storia.  Lo so, viviamo l’era dell’accelerazione, del bombardamento dell’informazione, dell’obsolescenza di tutto. Abbagliati da un futuro scintillante, spremendo il presente per i nostri più biechi interessi, abbiamo dimenticato che esiste anche il passato. Ho incrociato strada facendo tante storie affascinanti, di quelle che non vengono insegnate nei curricula  conformisti dei sistemi d’educazione tradizionali. Presto, ho cominciato a scavare come un archeologo, sotto la propaganda dei libri di storia ufficiali. Ho così scoperto la noia della storia dei vincitori, e le sorprese infinite nella storia dei vinti. Quante incredibili vicende umane! Quanti tesori di saggezza e di ingegnosità! Quanti bei capitoli sui  costruttori di pace e i portatori di speranza! Ancora oggi, mi rattrista che l’uomo ripeti sempre gli stessi orrendi errori. Quando impareremo finalmente a fare tesoro di quanto di bello e di buono è stato già fatto nella storia degli uomini? E applicarlo ad oggi.

Il dubbio.  Avevo quattordici anni, quando una vecchia amica di famiglia mi diede una lezione per la vita. “Non prendere per oro colato, quello che ti dicono i tuoi insegnanti. Metti sempre in discussione quelle che sembrano ferree verità!”. Da allora, i dubbi sono diventati fedeli compagni di viaggio, lungo le strade tortuose della mia vita. Mi hanno fatto capire che avere ragione è un inganno. Un amico livornese mi ha detto che la loro filosofia si riassume in una domanda: ”chi te l’ha detto?”. Il dubbio ci permette di andare oltre le consolatorie certezze, le false sicurezze. È un invito ad aprire porte e finestre sul mondo, di spogliarsi dell’arroganza del sapere indottrinato. Ci aiuta anche a non cadere in pericolose tentazioni filosofiche o religiose. Laddove tutto è spiegato, dove tutto ha un senso. Ma quale senso? Se la vita è innanzitutto mistero, sorpresa, meraviglia, scombussolamento.

L’ebbrezza. Sarebbe facile qui fare riferimento al nettare degli dèi, che da cinquant’anni mi rallegra e mi accompagna in milioni di momenti di convivialità. Quante volte ho bevuto il “bicchiere di troppo”, come amano dire i guastafeste e gli astemi vari, puntano il dito e storcendo il naso. Non hanno letto Baudelaire  o Rabelais, miei maestri di goduria e di ebbrezza, appunto. Ma sarebbe limitante un discorso legato solo ai liquidi alcolici. Ci sono tanti momenti di ubbriacatura nella vita, senza una bottiglia in mano. Dove uno si lascia invadere da piccoli e grandi piaceri. Dove l’entusiasmo diventa estasi. Dove tocchi con il cuore e l’anima l’incommensurabile voglia di andare oltre, di saltare i muri, di mandare al diavolo convenzioni e conformismi. Quando i piedi partono da soli al ritmo di una samba. Quando l’amore di un’altra persona ti fa perdere la testa (che espressione azzeccata!). Ubriachi di vita, ubriachi di felicità, ubriachi di imprudenza. Correre a perdifiato e cantare a squarciagola. Che non ci sono limiti, se non quelli che miseramente ci diamo. Poi, ci sarà sempre tempo per ricadere a terra e recuperare tutta la propria penosa normalità.

L’ironia. Mica dovrò scrivere qualcosa di serio sull’ironia, spero! Dico solo che sono stato a buona scuola da mio padre. Mi ha insegnato che una delle qualità che più apprezzava nel suo prossimo, era l’auto-ironia. Sapere ridere di sé stessi, accettare di farsi prendere in giro, allontanare con una battuta ogni pericolo di arroganza. Mio padre era un esempio vivente di questa filosofia. Gliene sono grato. E ci provo sempre, di non prendermi troppo sul serio.

L’ascolto. Una delle lezioni fondamentali nella vita. Ancora oggi, spesso mi rendo conto di non ascoltare come dovrei. Mi torna in mente Dimitri, il contadino a Itaca che parlava perfettamente l’italiano. Gli feci una domanda, e lui non rispose subito. “Scusa – dissi – ho detto qualcosa di sbagliato?”. Lui mi guardò con un sorriso. “No, no! È che ti ho ascoltato, e adesso pensavo alla risposta da darti”. Quante volte interrompiamo quello che parla, per non so quale ansia di protagonismo, perché abbiamo già la risposta, perché già sappiamo dove va a parere il nostro interlocutore? Hai voglia di smettere di dire la tua, quando l’altro non vuole ascoltarti fino in fondo. Invece, imparare ad ascoltare davvero, cioè con la mente libera, con le orecchie tese a captare le sfumature, i non detti, le pause, tutte quelle cose che sono dentro al linguaggio. Nell’ascoltare sul serio, con rispetto per l’altro, si scopre una forza pacifica e rigeneratrice, riusciamo a superare i luoghi comuni, le frasi scontate, i giudizi affrettati. Dall’ascolto vero, nascono amicizie durature. Poi, ci sarebbe il discorso di ascoltare bene la musica…

La poesia. Non tutto può essere spiegato razionalmente. Esistono tante emozioni, sensazioni, intuizioni fuori dalle regole, dalle definizioni, dal pensiero riduttivo. Avevo sedici anni e mi ero stufato al liceo di tutti quei “temi da sviluppare”, così cari ai nostri insegnanti. All’ennesima riproposta di dire la nostra sulla frase di Marx: “La religione è l’oppio del popolo”, mi rifiutai e scrissi invece una poesia. Ebbi la fortuna di avere un prof di francese aperto di mente. Mi disse che siccome avevo infranto le regole, mi toccava una punizione: scrivere altre cinque poesie! E fu un tornante della mia vita… La poesia è la pittura con le parole invece che con i colori. Ti tocca con la magia dei nomi, verbi, aggettivi, avverbi ricamati, vagoni virtuali di un treno di fantasia. Mi hanno accompagnato Eluard, Hugo, Char, Whitman, Dickinson, Frost, Schiller, Rilke, e tanti altri, lungo le strade sentimentali della vita. Concetti a volte duri, ma detti con eleganza. Viaggi nel buio dell’anima, ma con scintille di saggezza. Ciascuno può scrivere poesie. Ho questa idea che sia anche un modo di resistere all’appiattimento della lingua, nell’era del dominio degli slogan vuoti di senso.

La paura. Questa costante compagna di vita. Quella che secoli di religione, filosofia, educazione, superstizioni hanno provato di domare con rassicuranti ricette, consolatorie spiegazioni, abbaglianti certezze. Non servono a niente. La paura non demorde. Sta lì quando ti innamori, eccola quando devi avventurarti nella vita, ti aspetta nei momenti difficili, ti guarda in faccia quando devi decidere. Sembra la grande nemica della felicità, della tranquillità. E se invece fosse una vera compagna di viaggio? Se invece di provare ad allontanarla con qualsiasi stratagemma mentale, la prendessimo per mano per affrontare la crisi, i dubbi, i sensi di vuoto. Invece di voler scappare, se ci fermassimo un po’ ad avere paura e basta? Siccome tutte le nostre paure sono figlie della grande paura originaria, quella di morire, perché non le accettiamo, visto che in fondo al viale del tramonto ci aspetta lei, la grande falciatrice? Tremare di paura ci aiuta a ricordare che non siamo niente, che siamo insignificanti di fronte ai grandi disegni misteriosi dell’esistenza. Invece che trincerarci in patetiche illusioni di sicurezza, accogliamo la paura che ci aiuta a non essere troppo pesanti. Né con gli altri, né con tutta la vita che ci circonda.

E poi…

I sogni. Punto e basta.

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