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“BUON NATALE”: SOLITE PAROLE DI SEMPRE?

Il titolo lascia forse trapelare un senso di stanchezza mentale, quasi di noia? Possibile che non si possa trovare o inventare qualcosa di nuovo per gli auguri natalizi, mi diceva quasi stizzito un mio nipote? Perché si deve continuare a ripetere sempre le solite parole che oramai, da tempo immemore, corrono il rischio reale di produrre muffa, di crearne altri mucchi, come i tantissimi già esistenti, di affermazioni super-ripetute, anche se accompagnate da armonie musicali di recente fattura. 

Quelle parole augurali son come le tante parole che scivolano sul computer, o escono dagli schermi della TV, rimbalzando di bocca in bocca, fino ad esaurirsi. Non è la prima volta che succede. Sono sviluppi che hanno una certa frequenza: come, per es. esempio, la parola rete: una volta prerogativa dei pescatori, assunta in seguito dal mondo del calcio e più recentemente dalla rete di internet. Lo stesso si potrebbe dire di popolo, di spread che sale e scende o del bene del paese, così utilizzato dalla classe politica italiana del momento. O del compagno o compagna: una volta riferite specialmente a compagni di scuola e in seguito ai compagni di partito e ora approdata al “mio compagno o compagna”, al posto di marito e moglie.

Gli auguri di “Buon Natale” vengono ripetuti incessantemente da tante persone, alcune delle quali forse immemori di dove sia avvenuto il primo Natale: immemori del luogo e personaggi. E soprattutto immemori della forza ed eccezionalità di quell’ evento che ha dato una svolta repentina alla storia. Un evento ripensato e tradotto in immagini e immortalato da innumerevoli artisti e sognato da tanti altri testimoni di tutte le età e culture. 

Le numerose raffigurazioni del Natale hanno creato e rinforzato un’onda che con il passare del tempo si è trasformata in una forte marea di espressioni augurali, ma è spesso mancata la volontà di approfondire dettagli importanti. 

Vale proprio la pena di riproporre la storia del primo Natale, raccontata senza eccessivi dettagli. E cioè la storia di quella famigliola in viaggio (Giuseppe e Maria incinta) che non era riuscita a trovare un posto adeguato in uno dei rifugi, allestiti a Betlemme per le popolazioni in transito: persone capitate lì con i loro mezzi di trasporto (asini di solito o cavalli per i meno abbienti) e ospitate in luoghi di ritrovo e riposo allestiti alla meglio e in maniera provvisoria. 

Secondo gli storici e archeologi contemporanei, dove sarebbe stato adagiato il Bambino appena nato? Si sarebbe trattato di un recipiente di legno, in cui si disponeva il foraggio per gli animali. Una ipotesi fra le tante menzionate, ma pur sempre con una caratteristica dominante: la precarietà.

La scarna cronaca storica di quella nascita non lasciava presagire gli sviluppi successivi, ma con il passare del tempo è entrato in gioco la forza trascinante dell’ immaginario umano. La dimenticanza umana, così pervasiva e presente in tutti i campi del sapere umano, si è messa in disparte. A distanza di 12 secoli, il trio di Betlemme è rimbalzato nel cuore di una persona, generando la prima ricostruzione visiva ad Assisi (1223). Il presepio per dare espressione concreta al di LUI Natale era un desiderio coltivato da anni in S. Francesco; un desiderio non scaturito da lezioni particolari di storia biblica, ma realizzato nella povertà e semplicità di mezzi, come era capitato a Betlemme, dodici secoli prima.

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