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Cosa faccio durante la chiusura?

Come passo le mie giornate?

Intanto sono una persona tendenzialmente a rischio, avendo compiuto da poco
68 anni, e pur essendo in buona salute come risulta dalle analisi che
faccio periodicamente, gli scienziati dicono che la mia fascia d’età è tra
quelle più vulnerabili. Come al solito, siamo alla media di Trilussa,
immagino, perché un 68enne che avesse alla spalle 35 anni di fonderia penso
avrebbe vulnerabilità diverse da un professore universitario non ancora in
pensione…ma non si può chiedere troppa sofisticazione a misure
preventive, se non ne sai molto di più del tuo nemico. A pensarci bene,
però, è proprio qui una delle chiavi che dovranno guidare la ripartenza,
ossia la capacità – tutta da costruire – di adeguare le misure alla
situazioni in atto. E lo si può/potrà fare solo se si investe in quello che
con una parola fumosa chiamiamo “servizi pubblici territoriali”, cioè
servizi pubblici in grado di dettagliare le norme generali al giusto
livello relativo alle dinamiche e problematiche che si registrano in quel
territorio. Questo comporta un mutamento profondo: non solo e non tanto su
come si distribuiscono le risorse, ma su come l’intera organizzazione
sociale si strutturi. Un esempio banale: il nostro modo di concepire le
leggi. Non dovranno più essere disposizioni puntuali, omnicomprensive, ma
invece dovranno fissare i principi e le sanzioni, e disporre gradi entro
cui i servizi territoriali dovranno decidere ed operare. Un esempio: gli
ammortizzatori sociali. Nazionalmente si dovrà stabilire a che servono, a
chi sono rivolti, a quali condizioni si ha diritto, in che misura e per
quanto tempo. A livello territoriale (Regione o Comune è un problema
minore), le persone dovranno essere “prese in carico” dai servizi, ed
accompagnate al lavoro e/o al rafforzamento delle loro capacità per tornare
ad un lavoro decente e soddisfacente. Ecco, bisognerebbe ripensare l’intera
nostra organizzazione sociale sotto questo paradigma, perché così si rende
una società capace di rispondere ai bisogni delle persone che la compongono
a partire dagli ultimi. E’ evidente che fare e fare bene una cosa così – ed ho fatto solo un piccolissimo esempio che riguarda cose che conosco meglio – c’è bisogno di una Pubblica Amministrazione e di organizzazioni sociali in grado di fare quelle cose, il che a sua volta comporta investimenti in formazione straordinari e rivoluzioni organizzative potentissime. Altro esempio: tutti dicono che il lavoro da remoto bisogna incentivarlo, ed in effetti in caso di pandemia è una soluzione. Ma c’è un grande però, anzi due: l’isolamento accentuato delle persone e – assieme­– il loro assoggettamento accresciuto ai dettami dell’organizzazione. Non a caso di “scopre” che da casa o da remoto si lavora in media tre ore in più a settimana! Alla faccia della conciliazione tra vita lavorativa e vita privata…Ma il vero tema è come dovranno cambiare le aziende, anzi i luoghi di lavoro, se davvero la salute di tutti dovrà diventare la principale preoccupazione. Perché allora si dovranno ripensare gli orari, le modalità di condividere spazi e percorsi, e anche tenere conto che una parte – non necessariamente piccola – del “tuo” personale è dislocata strutturalmente fuori dai cancelli o degli ingressi, e tutto questo impone un ripensamento radicale di tante che diamo per scontate.
Ecco, cerco di pensare a questo,  per farlo ho deciso d riprendere in mano,
o di prendere per la prima volta, i testi di filosofi che ho
abbandonato quando ho cominciato a lavorare (correva l’anno 1974-5!),
perché riabituarsi a pensare è forse la cosa più difficile ma anche più
importante per i tempi che ci aspettano, dove è e sarà chiesto a tutti di
non tornare a “com’eravamo”, ma piuttosto cercare di impedire che  guasti
accumulati finora, a cominciare dalle violenze inferte alla natura, segnino
il nostro futuro.
Per far questo serve un impegno di tutti, e una consapevolezza che ci
muoviamo tutti in territorio incognito. E questo comporta ascolto,
discussione, e capacità di sintesi. Insomma, il contrario della politica da
talk show che ci ammorbava prima rischia di continuare a farlo ora.

Piuttosto, l’idea di una Costituzione della Terra, cui ci invitano a pensare Ferrajoli e La Valle mi pare il terreno effettivo di riflessione coerente con l’ampiezza dei problemi che abbiamo ed avremo di fronte. E’ un impegno difficile ed arduo, apparentemente illusorio e velleitario, ma in effetti l’unico adeguato alla profondità e radicalità dei dilemmi che ci sono davanti.

Roma, aprile 2020

Claudio Treves

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