Adriano CantaluppiArticoli

Una partita a tennis.

 

Dopo una parentesi abbastanza lunga, torno a vergare le mie opinioni.
Questo ristagno, dovuto ad una crisi psico-fisica, come una valanga mi ha costretto ad una vita da lupo solitario.
Ero pervaso da tristezza e malinconia, pur sentendomi pieno di lucidità mentale.
Sono empatico nei miei consigli, se mi vengono richiesti, il sorriso e il sarcasmo non mi hanno tradito.
Ora desidero immergermi nel mondo dello sport e in particolare nella disciplina del TENNIS che ho praticato per lunghi anni.
Vorrei portare il senso della razionalità in questo gioco.
È una disciplina rigorosa, non facile, perché si deve impugnare l’attrezzo chiamato racchetta.
Codesta deve essere un tutt’uno con la mano e il braccio.
Deve stare costantemente perpendicolare al terreno e alla rete.
Avere un buon gioco di gambe, saper correre ma non come una papera, ma stare sull’avampiede. Tenere di continuo l’occhio alla palla, capire dove l’avversario ha delle lacune e difetti tecnici.
Sapere dosare la potenza dei colpi, prendere in contropiede, quando presentarsi a rete per effettuare la volee.
Essere estroversi, avere fantasia, sapere fintare, sapere fare la smorzata.
Non dare in escandescenze. Riconoscere la superiorità dell’avversario. Soprattutto restare in silenzio e non uscire dai gangheri.
Osservo attentamente coloro che si credono di saper giocare e so che è uno sport che porta a sentirsi “bravi”, ma non è così.
Si dice spesso che ci vuole manualità e più che altro non si deve gesticolare, sapendo che ogni colpo deve essere effettuato in modo che scavalchi la rete.
Invece si sentono grida, rantoli, epiteti a non finire, si apostrofa l’avversario offendendolo magari perché ha tirato la palla facendo il punto.
Non solo, ma si bestemmia. E quello che è più grave sta nel fatto che questi comportamenti si trovano anche in bimbi di sei anni.
Questo inveire becero, trasmesso e insegnato dal genitore non capace, pseudo-macho, che vuole impartire l’A-B-C quando non ha le capacità tecniche ne tantomeno pedagogiche ne saper dire come la pallina dev’essere colpita.
Ai miei tempi c’era il rispetto, il silenzio quasi sacrale sul campo e si applaudiva alla bravura dell’avversario.
Un’ultima osservazione. Quando mi chiedono come si effettua la smorzata rispondo: “ è come accarezzare la natica di una donna”.
Ai miei tempi non ci si è mai vantati. Erano gli altri, gli spettatori, che ci dicevano meravigliati di come facevamo la smorzata con la palla corta accarezzata in modo da rimbalzare nella metà campo avversaria per poi tornare nella tua metà campo.
Ci dicevano che avevamo il “braccio d’oro”, ma se non si possiede la gestualità e la manualità, non ponete domande.
Giocate come sapete, con il sorriso, e non seppellite di grida o di epiteti l’avversario. E poi niente atteggiamenti tristi e melanconici.
Questo per dire di riportare al realismo la fragilità dell’uomo, i propri timori, sintetizzando lo sguardo del fanciullo all’uomo maturo.

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