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Un sasso è un sasso?

Un sasso è un sasso, una gallina è una gallina, una pianta, un martello, una sedia sono ciò che sono, necessariamente.

Ogni cosa è ciò che è, e non è un’altra cosa, necessariamente.

Tutto il mondo davanti ai nostri occhi è retto e sostenuto dalla necessità.

Ma l’artista ha uno sguardo diverso, spezza quella necessità.

Quella cosa, quel sasso, quella sedia, quella gallina, non sono più un sasso, una sedia, una gallina, ma sono qualcosa di diverso.

Ogni cosa può diventare un’altra cosa agli occhi dell’artista, può volare, può cambiare colore e forma, può scomparire e riapparire, può diventare luminosa o oscura, può unirsi ad altre cose o dividersi in mille parti. O possono perfino apparire cose che non esistono, del tutto inventate.

Possiamo dire che quell’artista sta raccontando il mondo, l’universo, con un proprio linguaggio nuovo, diverso.

Anzi, sta creando un altro mondo, un altro linguaggio, un altro modo di vedere.

Ma qui appare un problema duro, di difficile soluzione.

Le altre persone, che osservano l’opera di quell’artista e che non conoscono il nuovo linguaggio, come fanno a capirlo?

L’artista non può spiegare il suo nuovo mondo con un discorso, parlando, perché le parole non bastano. E’ quell’opera che mostra sé stessa, nessun altro linguaggio può farlo.

L’artista parla soltanto con l’opera, per il resto sta zitto.

E così l’artista ha visto folgoranti bagliori, attimi della verità, dell’universo, ha colto per sprazzi la natura vera del mondo? O forse ha creduto di vederla?

Ma in ogni caso egli vuole raccontare quegli attimi agli altri uomini.

Qui nasce lo strazio disperato dell’artista. Come può comunicare?

Ma a volte, se il nuovo linguaggio racconta qualcosa che è davvero nel nucleo originario del nostro essere uomini.                                                                             Si accende una scintilla e anche altri capiscono, all’improvviso, perché si accorgono che anche dentro di loro esisteva quel linguaggio, quello sguardo diverso e che prima loro non avevano scoperto.

L’arte ha dunque la natura dell’ “enigma”.

Già, perché l’enigma è la forma che assume il racconto di ciò che si è intuito, quando lo si vuole dire a tutti.

E quell’enigma scuote l’intero fragile edificio del sapere e della conoscenza.

Un “enigma” importante è quello scritto, in forma di dialogo dialettico, da Gongsun Longzi, maestro della Scuola dei Nomi, vissuto 2300 anni fa in Cina durante il periodo dei sei stati combattenti.

Il maestro Longzi afferma che “un cavallo bianco non è un cavallo” e difende questa tesi di fronte ad un interlocutore, che appare come una persona di buon senso.

L’interlocutore mostra il mondo così come appare, dice cose che ritiene evidenti e vuole mettere in difficoltà Long, opponendogli ciò che a tutti gli altri sembra reale.

Longzi mostra invece uno sguardo diverso.

Lui sa che stiamo parlando di parole, non stiamo parlando di cose e questa distinzione è la base vera di ogni ricerca, artistica, intellettuale e scientifica.

La distinzione tra parole e cose è lo stesso della distinzione tra immagini e cose.

Insomma, il lavoro dell’artista è difficile e delicato, sempre in equilibrio tra la tentazione di dire cose ovvie e comprensibili a tutti e la tentazione di indicare, con le proprie opere, la fragilità delle rappresentazioni che appaiono ai nostri occhi, che sono bugiarde, che nascondono alle loro spalle un baratro infinito, l’universo misterioso, affascinante e inafferrabile.

MASSIMO PISTONE.

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