Andrea Cantaluppi articoliArticoli

Tormentoni linguistico-lessicali

Sono quelli che vengono ripetutamente e ossessivamente ripetuti senza rendersi conto di scimmiottare altri che hanno usato gli stessi termini che, se pur esatti, una volta ripetuti a pappagallo, perdono di significato e dimostrano la corda sottilissima che copre una certa ignoranza e pigrizia mentale. Sono i microfoni dei luoghi comuni ripetuti con certezza scientifica di chi non sa cosa stia dicendo.

ASSOLUTAMENTE SI.

Quasi tutti oramai rispondono con questa formula insignificante a qualsiasi domanda. Usano questo avverbio che, con tono perentorio, conferma in maniera assoluta il suo si. Guai a smentirli, capirebbero che li vogliamo far scendere dal loro piedistallo.

IN BOCCA AL LUPO! Risposta: CREPI!

Perché dovrebbe crepare colui che ci ha difeso e nutrito? La formula di augurio che gli antichi romani usavano nei confronti di chi andava a combattere o a svolgere una missione difficile, riconosceva infatti al lupo doti di protezione, memori del mito della lupa che allattò i fratelli fondatori della città.

VIRGOLETTE, segnalando a braccia alzate e a dita ripieganti il segno tipografico. Sono oramai più di quaranta anni che si “segnalano” in questo modo, penso che oramai si sia capito il significato del gesto e che non ci sia più bisogno di ripeterlo. Grazie.

LIBERTA’.

Per questo alto concetto che contorna la vita delle persone che da sempre lottano per essa, oggi, i persuasori occulti che indirizzano le campagne pubblicitarie, ci fanno credere che la libertà è quell’auto, quella compagnia telefonica o di rivendita di elettricità, o di quelle scarpe o di quel dolciume. Notate con fastidio lo stridore di quella parola ripetuta e oramai priva di significato in ogni slogan, come un tempo facevano solo certi politicanti che la “rivendicavano in nome del popolo”. E così, reiterando lo stesso concetto demagogico, ci viene urlata, ribadita e nullificata in nome del dio danaro, l’unico che abbia potuto sostituire la centralità dell’umanità: o compri quel prodotto o non sei autorizzato a sentirti libero.

FELICITA’. Ho sentito una giovane coppia di sposi dirsi che per essere felici, bisognava iscriversi ad un corso che insegnava ad esserlo. Forse avrebbero fatto bene a farlo visto che passano il poco tempo insieme a urlarsi contro, oppure seguire il richiamo di quella Regione che solo andando a passare le vacanze da loro si potrà conoscere cosa sia la felicità! Questa commerciale idiozia te la senti ripetere con tale continuità che, se eri sereno, poi cominci a pensare in che modo un slavina potrebbe mettere fine a questo slogan.

IL FILO ROSSO che collega vari fatti, eventi, luoghi, persone, solitamente messi in fila da qualche giornalista. Ma perché rosso? Rosso di che? Sangue? Lava? Sugo di pomodoro? Marmellata di lamponi?

IL “RECOVERI FAUND” ossia la versione pronunciata all’italiana del ‘ recovery fund’ post-Covid che l’UE ci mette a disposizione. All’italiana, pronunciato faund, suona come “found”, qualcosa che qualcuno ha smarrito, come una banconota sul marciapiede, sulla quale mettere rapidamente il piede e da intascare in fretta prima che la veda qualcun altro. A pensarci bene mi sa che la pronuncia all’italiana è quella giusta.

LO STARE SUL PEZZO. Che sia di origine giornalistica o industriale o militare, che sia gergo di redazione o di fabbrica o da trincea, che ricordi Charlot nella catena di montaggio o Montanelli con la Lettera 22 seduto sulla custodia, o le trincee del Carso rimbombanti e fumanti di cannonate, la locuzione è claustrofobica, soffocante, opprimente, segno di quel misto di colpa e obbligo che lega più di una catena:” non ti alzi da tavola finché non hai finito quello che hai nel piatto”.

“DIMOSTRA DI NON ESSERE UN ROBOT”. Sempre più siti web mi fanno questa domanda. Ora, seriamente, come faccio a rispondere? Ho provato a cercare sportellini nascosti sotto l’ascella e a ficcarmi un cacciavite nell’ombelico: finora non ho trovato circuiti di nessun genere. Ma non si può mai sapere: magari sono sulla schiena.

“ RISPARMIARE ALLA GRANDE”, detto dello Yeti, o dei Capuleti e i Montecchi, per trasformarsi in vantaggi se compri da Amazon: intanto “alla grande” è espressione sciatta del XXI° secolo, riferita a personaggi o mitologici e storicamente vetusti fa veramente a cazzotti col buon senso: in più quale senso possa avere per un (mitologico) abitante delle montagne più inospitali “risparmiare” è davvero scarsamente comprensibile, e altrettanto quale vantaggio procuri il risparmio a famiglie attraversate da odi atavici è ugualmente difficile da capire. Infine che c’azzecchi Amazon con tutto ciò lo si deduce dalla conclusione pubblicitaria, ma resta un mistero.

RESILIENZA.

Sostantivo. Utilizzato in un ventaglio di settori tecnologici, infatti non è una parola nuova, ma che è stata essenzialmente coniata per spiegare pochi spazi in ristretti ambiti. In buona sostanza significa adattarsi per poi ripartire. Dopo i provvedimenti degli ultimi governi ha assunto un notevole spazio che è diventato modaiolo, appunto un tormentone. Lo troviamo alla fine della sigla più sbandierata dei governi: Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ma, quindi, dobbiamo resistere alla troppa resilienza?

“CAMBIAMO DECISAMENTE ARGOMENTO”.

Si perché per sottolineare il cambio di argomento questo passaggio va fatto con molta decisione. Che poi si cambi dal dire nulla al niente non ha importanza. Già perché, non so ce ci avete fatto caso, ma i circa 30 minuti dedicati ai telegiornali per fare informazione, questa è diventata merce sempre più rara. Si passa in modo spiccio e privo di informazioni sostanziali per capire il senso dentro la notizia, dall’ultima disgrazia, terremoto o morti sul lavoro, all’ennesimo femminicidio, e quindi “PASSIAMO ALLA POLITICA”. Come se le frane dovute all’abusivismo, i morti sul lavoro non siano “politica”. Questa infatti è dedicata alle ultime veline fornite dal governo. I giornalisti ancora non hanno capito che ‘tutto è politica’. E intanto sono passati circa 20 minuti dei 30 in dotazione. Gli ultimi 10 vengono dedicati a cosa più ci deve interessare: il gossip. Cosa ci sia dentro la borsetta della regina di turno, al divorzio dei divi che litigano per i diritti ereditari, e alla promozione dell’ultimo disco di qualche illustre sconosciuto. Ed è così che ci invitano a “cambiare decisamente argomento” e ad ignorare non solo il senso stesso di questa finta informazione, ma ad ignorare l’informazione stessa. Tanto c’è già l’algoritmo che decide e pensa per te. E per sapere cosa accade nel mondo oltre che a casa nostra, utilizziamo i mangia neuroni elargiti da una certa informatica.

BOMBE D’ACQUA!

Non ci sono più piovaschi o forti rovesci. Sono termini desueti, troppo familiari e in tempo di scoop e gossip coloro che promettono sfracelli meteorologici devono trovare termini adeguati, che attirino subitanea attenzione. E cosa c’è che crei più ansia e paura di una bomba anche se d’acqua? È del tutto chiaro che i nostradamus di casa non sono mai stati nei Caraibi o all’equatore dove, quando all’improvviso piove, l’acqua non cade come da noi, ma vi investe in modo orizzontale e non c’è modo di ripararsi. Dura circa 10/ 15 muniti, poi smette di colpo così come si è presentata. Ti ritrovi con le ossa da strizzare, ma ecco che esce il sole e con 5 minuti di attesa ti ritrovi asciutto, vestiti compresi.

FREDDO SIBERIANO.

O è così o non fa freddo. Poi, dopo l’ennesima preoccupazione causata da tromboni meteo, verifichi timidamente fuori dalla finestra come vanno le cose e decidi che con un maglione si è ben protetti. Vi do un esempio di cosa sia il freddo siberiano: per rifornire Stalingrado assediata dai nazisti, si decise di far passare una ferrovia sul lago Baikal. Si stesero binari e traversine e finalmente i soccorsi poterono arrivare a destinazione. Si avete letto bene, una ferrovia su un lago! L’acqua era un poco freddina e gelava solidamente. Nelle città centrali della Siberia si vive e si lavora anche con 50/60 gradi sotto zero. Per nostra fortuna geografica, quel freddo non arriverà mai da noi, ma non fatelo sapere ai meteopatici delle nostre visionarie tv, perché dovranno trovare altri terrificanti termini per avvisarci del pericolo incombente.

OKKEI!

Cosa dire poi dell’asservimento culturale a quella barbara lingua che si parla in una piovosa isola che una volta possedeva un immenso impero e che dopo decenni ancora non ha capito che quell’impero non esiste più? Vanno avanti con la soap opera del loro sistema regnante che è quanto di più anacronistico sistema di governo esistente e non riescono, tra uno scandalo di corte e l’altro, a darsi una costituzione, ed emulati nel tono, nella lingua e nella prosopopea, dai loro discendenti oltre oceano che, convinti servitori e distributori della “democrazia” nel mondo, hanno sparso i loro dittatoriali metodi fin sulle nostre indifese sponde tanto da convincerci che la lingua di Dante sia obsoleta e che quindi, senza bisogni di dare spiegazioni, spicciamente dicono: si fa così, OKKEI? E senza attendere risposta, certi che verranno ubbiditi senza timori, riaffermano perentoriamente subito il primo il secondo OKKEI!

Testi elaborati da: Andrea Cantaluppi, (che si assume ogni responsabilità), Alberto Cammozzo, Claudio Treves.

(38)

Loading