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L’obbedienza non più una virtù.

Ci hanno insegnato da bambini ad essere obbedienti, soprattutto a non essere mai disubbidienti. Uno dei peccati che andava per la maggiore quando eravamo ragazzini, da confessare il sabato pomeriggio in chiesa, era: “ ho disobbedito ai genitori”. In verità era una risposta che suggellava una certa forma di sanità psichica. Era piuttosto la domanda che ti poteva fare il prete ad avere un sapore più restrittivo: “ hai disobbedito ai genitori?”. Non erano più i tempi dei miei nonni, nel mio Veneto: “ Dio, Patria e famiglia”. Questo pacchetto di azioni fascista aveva profondamente segnato il nostro Paese. Dio era il garante dell’ordine, la patria “voluta da Dio” era privata della libertà, e la “famiglia voluta da Dio” era il primo anello di controllo di una società ordinata, obbediente e “benedetta dal Dio obbediente al duce”.

Il mio bisnonno (ho recuperato i documenti all’archivio militare) nella prima guerra mondiale venne messo in galera per “insubordinazione ai superiori” e tornò a casa nel ’19, per abbracciare la “bella mora” dell’Antonia, sua moglie, che era dell’Altipiano di Asiago. “Parché i te ga messo dentro?”, gli chiese. E lui candido :”Parché xero massa fora” (perché ti hanno messo dentro – in galera? E lui: perché ero troppo “fuori”).

Suo figlio Nello è stato partigiano e dormiva con il fucile sotto la testa. I fascisti buttavano giù la porta, e lui scappava dalla finestra. “Mi son un leoro (lepre) e lori xe dele anatre”. Aveva ragione, che era una lepre. Infatti non riuscirono mai a prenderlo.

Ma negli anni ’70 disobbedire non era più una “vergogna”. Gli operai scendevano in strada e disobbedivano al “paron”. Mio padre faceva il sindacalista di fabbrica e per me era un eroe.

Viale Venezia (la provinciale che collega Verona con Vicenza) era piena di donne e uomini che facevano “sciopero”. In quegli anni era davvero una parola magica. Dava un valore politico alla disobbedienza. Non si scioperava da soli, ma insieme. Però tutto partiva da quel posto ben nascosto, forse nei paraggi dell’anima che si chiamava coscienza.

Finalmente anche la famiglia non era più disposta ad ubbidire a un dio misogino e moralista e chiedeva di far saltare in aria gli stereotipi della “famiglia per bene” della “paterfamilia” dove le donne erano invisibili e non potevano decidere di se stesse. Del loro corpo, del loro destino.

La Patria era stata rifondata da coraggiose e coraggiosi “disobbedienti” dopo il ventennio fascista e una orribile guerra.

Quale rapporto c’era dunque tra la trasformazione sociale e l’emancipazione individuale? Noi eravamo i frutti di quell’albero che si chiama democrazia? Resistenza? Eravamo i figli e le figlie del motto di Giorgio Gaber, “Libertà è partecipazione”? Perché allora ritorna ancora di volta in volta un pretestuoso “Dio, patria e famiglia”? Perché i diritti vanno ancora indietro come i gamberi, cancellati con la spugna?

Obbedire in latino deriva da ascoltare. Mentre l’obbedienza cieca che ha così devastato il mondo è la totale privazione di ascolto. È l’uccisione dell’alterità. C’è dunque una disobbedienza che è una forma più profonda, adulta, libera di obbedienza.

Lorenzo Milani ne è stato insuperabile Maestro. Lo ricorda una delle persone davvero più vicine a lui e forse la più autorevole testimone del suo pensiero e della sua prassi ( che poi erano un’unica cosa a Barbiana): Adele Corradi.

L’obbedienza non è più una virtù, certo! Quando scavalca la persona, la coscienza, i diritti. Siamo figli di un pinocchio perbenista. Non quello del magnifico Collodi, ma il “Pinocchio balilla”, che era l’eterno disobbediente e guarda caso veniva tirato sempre per le orecchie, fino a diventare un asino.

Ma per diventare “bambini veri” bisogna obbedire alla parte più profonda della vita, e tagliare così i fili del potere manovrante. Nessuna promessa di obbedienza anche nella chiesa può essere un atto di vassallaggio. E nessun sistema sacro potrà appellarsi al “disobbediente” Gesù di Nazareth per trattare gli altri da padroni.

Tante donne e anche uomini sono stati stupendi Maestri di disobbedienza, ovvero di una obbedienza più profonda, più coraggiosa, più creativa alla vita.

Tra loro l’amico Pierluigi di Piazza, il cui ultimo respiro è stato un altro canto, di Libertà!

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