Laura BaldoRacconti Brevi

Verso il buio

Il piccolo lago incastonato sul fianco della montagna rifletteva il cielo ed era di un azzurro intenso, sfrangiato di verde dal riflesso degli alberi.
Perfino Daniele, che vedeva tutto in gradazioni di grigio, trovava il paesaggio splendido.
Ci era venuto da bambino e, al momento di cercare un luogo isolato dove potersene stare in pace per qualche tempo, si era ricordato della vecchia baita lì vicino. Aveva cercato i proprietari ed era riuscito a farsela dare in affitto. Finalmente poteva rilassarsi un po’, anche se non si arrischiava comunque a togliere gli occhiali scuri, tantomeno dentro casa: un attimo di distrazione e gli sarebbe crollata addosso.
La baita era poco più di un rifugio di fortuna, con un letto e un focolare a legna, e non aveva il bagno. Così, ogni mattina, andava fino al lago per rinfrescarsi. Nonostante gli occhiali fossero leggeri e morbidi. A forza di tenerli gli provocavano delle fastidiose irritazioni cutanee, ed era un sollievo poterli togliere.
Lieto della limpida giornata estiva e del silenzio del bosco, Daniele raggiunse la riva e si inginocchiò sui ciottoli. Chiuse gli occhi prima di togliere gli occhiali e posarli accanto a sé. Poi si sciacquò a lungo la faccia, rabbrividendo per l’acqua gelida.
Allungò la mano a tentoni verso l’asciugamano, e in quel momento un cane abbaiò molto vicino, facendo lo sobbalzare. Aprì gli occhi di scatto e lo vide: un golden retriever, fermo a qualche metro da lui, lungo la riva. Il cane lo fissava curioso e scodinzolante, ma nel giro di pochi istanti si raggelò, mentre il pelo ingrigiva e cadeva a ciuffi, le membra si rattrappivano e gli occhi si velavano. Non emise alcun suono, quando stramazzò a terra e cominciò a marcire e ricoprirsi di vermi e mosche. Alla fine rimasero le ossa, ma presto anch’esse divennero polvere, e la brezza spazzò via tutto.
Accanto al cane molti abeti si erano seccati, erano caduti, marciti ed erano stati riassorbiti dal terreno. Anche il lago si era ridotto, per poi tornare ad espandersi e ridursi ancora, più volte. Nel frattempo erano cresciuti dei piccoli nuovi abeti, ed erano già alti diversi metri, tanto che a un occhio distratto sarebbe sfuggita la differenza.
Daniele si affrettò a distogliere lo sguardo, mentre tastava i ciottoli in cerca degli occhiali, e fu così che si trovò davanti una donna. un’escursionista, piuttosto anziana ma ancora in forma, munita di tuta giallo fluorescente, zaino e bastone da passeggio.
“Mi scusi se l’ho spaventata. Ha mica visto un cane?”
Lui era rimasto del tutto immobile, senza respirare, e la donna si accigliò. Aprì la bocca, forse sul punto di ripetere la domanda, ma non ne uscì alcun suono. La bocca si raggrinzì, insieme a tutto il resto. Dopo qualche istante di lei non era rimasto niente, tranne i suoi oggetti, solo un po’ malandati.
“Materiale tecnico sintetico” borbottò Daniele rimettendosi infine gli occhiali. “Ci vorrebbero migliaia di anni per distruggerlo”. Sospirò e si guardò intorno, timoroso che con la donna ci fosse qualcun altro. Per precauzione, raccolse gli oggetti e il collare di ferro arrugginito del cane e li nascose, con l’intenzione di gettarli poi in un crepaccio. Avrebbero pensato a una disgrazia.
Era dispiaciuto per quanto successo, ma non era certo colpa sua se la donna e il suo cane gli erano saltati fuori all’improvviso. Lui era venuto fin quassù proprio per starsene in pace, lontano da tutti…
Una delle prime cose che gli aveva inculcato suo padre era questa: “Non è colpa tua, né di nessuno. È una malattia”.
Aveva forse cinque anni la prima volta che gliel’aveva sentito dire. Prima ancora di capire cosa avessero i suoi occhi che non andava, Daniele era almeno certo di una cosa: non era colpa sua né dei suoi genitori. Era nato del tutto sano e normale, solo dopo i dodici mesi di età la malattia si era manifestata, all’improvviso.
“Papà perché io non ho una mamma?”
Ripensava sempre con una sorta di amaro divertimento all’ingenuità terribile di quella domanda.
“La mamma è volata in cielo, quando tu eri piccolissimo”.
Probabilmente l’ironia nella risposta era stata involontaria: la mamma era davvero volata in cielo. Sotto forma di polvere.
Era un puro caso che suo padre avesse notato la stranezza dei suoi occhi, quelle pupille che avevano assunto la forma di piccole clessidre, prima che potesse spostare lo sguardo su di lui. Daniele non ricordava di aver passato un lungo periodo sempre bendato, era troppo piccolo. E neppure il momento in cui erano arrivati gli occhiali speciali. Sapeva solo che suo padre era impazzito per trovare un ottico in grado di risolvere il delicato problema senza che la voce si spargesse. I primi occhiali erano molto scuri e vedeva a malapena i contorni delle cose, ma dopo anni di tentativi il dottor Giorgi aveva trovato il giusto compromesso tra poter vedere bene, anche se in bianco e nero, e l’efficacia nel tenere a bada la malattia. Trovare la causa, o una cura, era sperare troppo. Nessuno aveva mai sentito parlare di una cosa del genere, non c’era alcun caso documentato. Ad ogni modo, era tutta questione di abitudine. Già da bambino aveva capito bene l’importanza di tenere sempre gli occhiali, a meno che non fosse da solo, al buio. C’erano stati, certo, degli incidenti di percorso, ma per fortuna senza conseguenze. Almeno per lui.
Un compagno di scuola era sparito misteriosamente durante la ricreazione, dopo aver dato un pugno a Daniele, facendogli volare via gli occhiali. I genitori lo stavano ancora cercando con manifestini e appelli on line. Se anche Daniele avesse detto la verità, l’avrebbero preso per pazzo. E se gli avessero creduto sarebbe finito rinchiuso in qualche centro di sperimentazione militare. Gli dispiaceva per quei due poveri genitori, ma non era colpa sua. Di un incidente accaduto in seguito si rammaricava in vece di più. Allora era già maggiorenne e avrebbe dovuto stare più attento. Sara era la prima e unica ragazza che avesse avuto, e l’amava molto, avrebbe forse dovuto avvertirla. Ma come poteva immaginare che avrebbe acceso la luce senza preavviso?
Tornato nella piccola baita, mangiò qualcosa in fretta, mentre scorreva per l’ennesima volta tutti gli articoli scientifici che era riuscito a trovare sulle eclissi.
Oltre che per la tranquillità, Daniele era andato lassù per fare un esperimento. Verso mezzogiorno ci sarebbe stata un’eclissi parziale di sole, e aveva letto che guardarla direttamente poteva avere effetti sulla vista. Forse avrebbe anche potuto distruggere qualunque male si annidasse nei suoi occhi, in modo da smettere di vedere il futuro, o almeno di far scorrere avanti il tempo. Il vecchio dottor Giorgi si era mostrato scettico. “Potresti diventare cieco”. “E allora?” aveva risposto. “Devo comunque vivere nel buio quasi totale. Che male fa tentare?
Il dottore però era parso davvero molto agitato, e aveva proposto di consultare prima suo padre, così Daniele aveva finto di lasciarsi convincere e gli aveva assicurato che non l’avrebbe fatto. A suo padre non aveva detto niente. Conviveva già da una vita con problemi di ogni sorta, che differenza poteva fare, un figlio mostruoso o uno cieco?
Poco prima dell’ora prevista, uscì e si incamminò per un sentiero ripido che lo portò su un pianoro quasi in cima alla montagna. Da lì c’era un’ottima visuale. La luce verso occidente aveva già iniziato ad attenuarsi, ma Daniele attese paziente ancora per qualche minuto, finché l’eclissi fu al suo culmine, prima di alzare il viso e togliere gli occhiali. Fissò il sole con sguardo deciso, quasi di sfida, ignorando il bruciore e le lacrime che gli colavano lungo le guance. L’eclissi durò ancora diversi minuti, ma la luce del sole iniziò a cambiare in modo anomalo. Pareva espandersi sempre di più, assumendo un colore rossiccio, mentre il calore diventava insopportabile.
Poi, di colpo, tutto finì. E calò il buio.

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