Racconti BreviTony Paganoni

SORPRESE IN UN MONDO SCONOSCIUTO.

Sconosciuto anche perché non è che offra quel gran che. Mi riferisco al deserto australiano che attraversa il continente in lungo e in largo: è un ambiente arido, privo di vita, perché manca l’acqua e le piogge non sono né frequenti e nè abbondanti. Piatto come una tavola immensa, ad eccezione della montagna sacra, il famoso “Uluru” nel centro dell’Australia e alcune lievi ondeggiamenti vicino alla estesissima costa del Sud.

In questo ambiente così inospitale, dove scarse sono le condizioni per sostenere la vita, vivono tribù di Aborigeni. Secondo il censimento australiano sono catalogate in circa 300 gruppi che si avvicendano nel trascorrere (senza pagare il parcheggio!) alcuni giorni quì o là per poi, senza tanti programmi o cartine geografiche in mano, trasferirsi altrove. Convinti che c’è posto per tutti. Uno dei capisaldi della loro cultura è che la terra, tutta la terra, è soprattutto madre.

Mi trovavo a Perth (2004-2010), la capitale dello stato occidentale dell’Australia, il cosiddetto WA (Western Australia): lo stato più esteso della confederazione, ma con poco più di due milioni di abitanti. Un giorno, con tanta mia sorpresa, ricevetti l’invito di un aborigeno di dare un’occhiata alla famosa abbazia di Nuova Norcia a circa 130 Km, ad est della capitale del Western Australia. Raggiunta l’abbazia e dopo aver ammirato il coraggio dei due pionieri, due frati benedettini spagnoli, ci inoltrammo a piedi nel deserto non ricordo bene per quale ragione.

Non è che fossi completamente d’accordo su quella scelta e cioè di esplorare un lembo di deserto, ma acconsentii. Mentre eravamo fermi, con gli occhi rapiti da tanta aridità, ecco apparire all’orizzonte uno stormo di canguri. Questi, con le loro robustissime gambe posteriori, passarono, a circa 200 metri da noi. Ma diretti dove, domandai all’amico? Questi mi sorrise e poi mi invitò a seguirli con lo sguardo.

Ad un certo punto il drappello dei canguri si fermarono e formarono un cerchio intorno ad uno di loro. E rimasero in quella posizione per un bel po’ di tempo, prima di allontanarsi di nuovo, in forma sparsa come prima.

L’ amico aborigeno, con un bel sorriso, mi fece cenno di seguirlo. Ci avvicinammo al luogo dove i canguri si erano fermati per scoprire, con tanta nostra meraviglia, che dal terreno fuorusciva acqua, anche se poca e sporca. I canguri avevano scoperto, in quel luogo arido come non mai, una piccola fontanella. Piccola sì, ma dissetava gole arse, per aiutarle a riprendere il loro peregrinare in quello spazio enorme così privo di vita.

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