Antonio Vermigli articoliArticoli

Pasqua 2021

Carissima, carissimo,
è Pasqua, ma non è un privilegio per pochi, ma una possibilità per chi crede, per tutti coloro che saranno capaci di farsi pane, accogliere, abbracciare, rimuovere le cause delle ingiustizie, riconoscere gli impoveriti. “Chi non ama il suo fratello e la sua sorella, che vede, non può amare Dio, che non vede” dice l’apostolo Giovanni. Oggi il mondo è popolato da un immenso calvario in cui alcuni miliardi di persone, uomini, donne e bambini sono inchiodati alle croci della miseria, delle malattie, della insignificanza sociale. Questi nostri fratelli e sorelle, in tutto simili a noi, non soffrono per colpa loro né a causa di cataclismi naturali: sono le vittime di un brutale e colossale egoismo, il quale guarda a loro come a non persone, ma a scorie della nostra civiltà malata.
Pasqua significa anche interdipendenza, cioè pratica per fare crescere e non sfruttare molti Paesi degli altri continenti, significa ridistribuire la ricchezza. Il 18 marzo scorso Forbes, ha evidenziato che i miliardari in un anno di Pandemia hanno aumentato la loro ricchezza del 44,6%. Tutto ciò accade in nome della libertà e della democrazia. Ognuno di noi ha il dovere morale, etico e del proprio credo di ribellarsi conto libertà illiberale e questa democrazia oligarchica.
Ho letto esterrefatto e sconcertato in piena quaresima le dichiarazione del “povero” vescovo di Reggio Emilia, Massimo Camisasca, ciellino Doc: “la pandemia come strumento di conversione, Dio si serve del male per la nostra conversione”. Questa strumentalizzazione del male innocente è scandalosa e non può provocare che una sana ribellione.
Credo che la Pandemia ci obblighi ad una nuova spiritualità e a un nuovo atteggiamento di fronte alla realtà, non fa distinzione di classe, ora siamo tutti vulnerabili per questo urge costruire nuovi rapporti basati sulla fraternità per la creazione di una nuova umanità, caro Camisasca!

Forse avrai visto in questi giorni alla TV la tragedia che sta vivendo Manaus, la capitale dello Stato di Amazonia, in Brasile, con le ruspe che scavano migliaia di fosse per seppellire i morti di COVID-19 nella terribile variante “amazzonica”, molto più contagiosa e meno rispondente ai vaccini delle altre forme. Nel 2021 finora nella capitale dell’Amazzonia si è avuto l’8% dei decessi per Covid-19 di tutto il Brasile, (ad oggi 350.000) nonostante la città conti meno dell’1% della popolazione del paese. Varie organizzazioni cristiane, tra cui la Conferenza episcopale brasiliana, hanno denunciato la strage dei poveri e l’incremento della diseguaglianza provocato dal Covid: il 63% dei deceduti è analfabeta, il 43% è nero e il 42% è indigeno. Il COVID-19 si sta diffondendo tra le popolazioni indigene, che non hanno possibilità di misure di prevenzione, nessun accesso alla diagnostica e alle terapie, e le cui vittime spesso non entrano nemmeno nei conteggi ufficiali. La pandemia ha ovunque aumentato la povertà. E tantissime famiglie sono letteralmente alla fame. Intanto il governo di Bolsonaro emana leggi che permettano ulteriori occupazioni delle Terre Indigene per lo sfruttamento minerario, mentre i garimpeiros, i cercatori d’oro illegali, stanno già a migliaia invadendo le aree indigene, diffondendo il COVID-19 tra le popolazioni indifese.
Condividere è parola-chiave di papa Francesco, il pontefice della misericordia, c’è sempre più bisogno di persone che si impegnino, ad ogni livello. Nella società. Nella politica, nelle istituzioni civili e religiose, nell’economia. Per mettere al centro il bene comune servono uomini e donne consapevoli che l’amore e la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo, sono un dono da condividere.

Buona Pasqua ad ognuno di voi, Antonio
NB. sotto trovate a seguire una riflessione di padre Marcelo Barros, benedettino brasiliano e di Erri De Luca, scrittore militante e poeta

Pasqua nel mondo e nell’intimo di ogni essere di padre Marcelo Barros

Anche quest’anno le comunità cristiane dovranno celebrare la Settimana Santa ancora sotto il peso della pandemia che, in Brasile, si fa sempre più minacciosa. La linea guida giusta è festeggiare a casa e unirsi alla nostra comunità tramite la televisione o Internet. È un peccato non poter celebrare il memoriale della cena di Gesù, della sua croce e della sua risurrezione nella concreta comunione di fratelli e sorelle di fede. Tuttavia, la nostra riflessione deve andare oltre le contingenze e la migliore celebrazione di questa Pasqua sarà la resistenza e la testimonianza di solidarietà alle persone più vulnerabili.

In questo anno 2021, ancora una volta la celebrazione cristiana della Pasqua coincide con la celebrazione del Peshá ebraico. In tutte le sinagoghe del mondo, la festa di Pasqua è iniziata sabato 27 marzo e si protrarrà fino al sabato successivo. Questa festa che il giudaismo chiama “la festa della nostra liberazione” ricorda ad ogni essere umano la sua vocazione alla libertà. In questi giorni che la tradizione cristiana chiama Settimana Santa, le Chiese ricordano l’ultima settimana di Gesù a Gerusalemme per celebrare la Pasqua. Gesù celebrava la Pasqua come ogni ebreo praticante.

Ma, ai suoi tempi, la Pasqua proposta dal libro dell’Esodo si era trasformata in una grande festa commerciale, centrata sul tempio e per rafforzare il potere e la ricchezza dei sacerdoti. Per questo Gesù ha voluto dare alla Pasqua un nuovo significato che riprendesse la spiritualità liberatrice dell’Esodo e, allo stesso tempo, la estendesse a tutta l’umanità.

Imbevuti di questo spirito, questo giovedì sera, inizieremo la celebrazione cristiana della Pasqua ricordando l’ultima Cena di Gesù, profezia di condivisione e dono di vita, appello all’unità per tutta l’umanità. Il Venerdì Santo si celebra la Pasqua della Croce. Guardiamo la passione di Gesù, che assume nuove forme nelle croci di tutti gli oppressi e oppresse in questo mondo e nel dolore di nostra madre Terra. Sabato notte e all’alba di domenica, anche in casa e, quindi, in forma domestica e laica, celebriamo la vigilia, madre di tutte le vigilie della Chiesa.

Riunendoci, anche se virtualmente, per celebrare questa vigilia, nell’amicizia del gruppo a cui partecipiamo, sarà come se aiutassimo l’alba a sorgere e risvegliassimo il Sole della Giustizia per ricreare il mondo e rinnovare il nostro essere impregnandolo di risurrezione.

La celebrazione di questa Settimana Santa ci invita a guardare fuori dalle chiese la tragedia della croce che continua a verificarsi ogni giorno, accanto alla nostra porta. Sebbene tutto il dolore umano meriti solidarietà, consideriamo come un’estensione della croce di Gesù tutta la sofferenza fisica o psicologica, derivante dalla missione di trasformare il mondo. Anche le angoscie e i dolori che derivano da una società che ha perso il suo cuore.

Proprio come un artista scolpisce o disegna una croce sul muro, possiamo vedere innalzati sulla croce interi popoli, quali quelli che che, dagli anni ’80, in El Salvador, il martire Ignacio Ellacuría chiamava “popoli crocifissi”. In ogni paese dell’America Latina si contano migliaia di vittime del sistema che, per mantenere il privilegio di una piccola élite schiavista, causa dolore e morte a milioni di esseri umani. E questo dolore e la morte sulla croce si diffondono come una pandemia. In molti paesi dell’America Latina, migliaia di persone scompaiono ogni giorno, vittime delle milizie della polizia e dei gruppi di trafficanti di droga.

In tutti i paesi, le donne sono vittime di femminicidio e violenza maschilista. Nella maggior parte del continente, le popolazioni indigene hanno la loro sopravvivenza fisica e le loro culture minacciate.
In Brasile, il numero di giovani uomini neri assassinati alla periferia delle nostre città aumenta ogni giorno. Questi sono solo alcuni elementi della nostra violenza quotidiana.

Se celebrassimo la memoria della croce di Gesù indifferenti a queste attuali crocifissioni, la nostra celebrazione non sarebbe altro che un cinico esercizio di ipocrisia religiosa.

In mezzo all’aggravarsi di questa pandemia, sentendo quotidianamente la fragilità della vita, questa Pasqua deve essere una profezia che ci darà forza di resistenza e chiarezza sulla nostra missione nella realtà attuale.

In passato, siamo stati educati a comprendere la morte e la risurrezione di Gesù come se fosse un dramma in due atti.

Fu ucciso e il terzo giorno Dio gli diede nuova vita. La spiritualità liberatrice ci insegna che la nostra fede sarà Pasqua se possiamo vedere sulla croce stessa e anche nella morte di Cristo e del popolo, i segni della forza divina che vince la morte e indica la risurrezione come la vittoria della vita.

Non è andata così di Erri De Luca

Si andava alle alture di Gerusalemme per il pellegrinaggio di Pasqua cantando i 15 salmi delle salite. Le Pasque ebraiche dell’epoca si svolgevano sotto occupazione militare romana.
Erano amare, le feste della liberazione dalla servitù egiziana si celebravano da oppressi sotto altra servitù. Intorno alla tavola i commensali ripetevano e ripetono ancora: ”Quest’anno servi, l’anno prossimo figli di libertà”.
Serve immaginare Gerusalemme gremita di pellegrini. Lui entra a dorso di un’asina, per tradizione cavalcatura destinata ai re. Se l’è procurata la sera prima. Al suo passaggio la folla si entusiasma, stende sotto di lui mantelli e rami per fargli da tappeto, gridando Osanna, grido di riscatto che in ebraico vuol dire: Salva.
Lo acclama figlio di Davide, il re che trasferì la capitale d’Israele a Gerusalemme. È un forte richiamo all’indipendenza e alle vittorie di quell’antenato guerriero. Del resto lui è della stirpe di Davide, perché suo padre adottivo Giuseppe/Iosef discende da quella famiglia e lo ha iscritto come figlio suo.
L’esercito romano presidia i luoghi strategici, esperto di possibili sommosse in occasione della vasta affluenza e del significato di quella festa. Ha già represso rivolte e crocifisso i corpi dei rivoltosi per le strade d’Israele.
Con gran seguito di folla lui compie un altro gesto simbolico, andando al Tempio e sgomberando il cortile da mercanti e bancarelle. Riconsacra il luogo che non è solo di culto, ma di identità di Israele, popolo della divinità unica e assoluta. Era oltraggio profondo l’idolo dell’occupante, la statua di Giove/Iuppiter piazzata a ingresso del Tempio. Lo definisce covo di briganti, lasciando intendere che tale è il potere di Roma.
Il popolo s’infiamma, ora basta una parola dell’uomo entrato come un re, acclamato per tale, e l’insurrezione dilagherà.

Non è andata così.
Non è venuto per accendere una delle tante rovinose sommosse contro l’occupazione straniera. Non è venuto per sovvertire, ma per convertire, impresa più duratura e profonda.
Lascia passare l’ora fatidica dell’insurrezione. La scongiura uscendo da Gerusalemme, la città dei sangui, secondo Ezechiele, profeta e libro. Si ritira nel piccolo villaggio di Betania con i suoi e nella sua cena finale trasmette gesti e riti indelebili.
Il popolo mutevole di umore, deluso nella sua aspirazione alla libertà, non muoverà un mignolo per liberare dalle mani dell’occupante chi aveva intravisto come riscattatore.
La sua morte per immolazione pianta nel calendario una data come un seme di sequoia.

L’occupazione straniera sta ai nostri giorni come l’epidemia che restringe gli spazi, limita la celebrazione delle feste. Contro di essa non vale l’insurrezione, ma il ricorso all’isolamento dell’invasore, sottraendogli spazio di manovra.
La cacciata dei mercanti dal tempio corrisponde alla sospensione degli esercizi commerciali, perché il tempio è diventato il corpo sociale da difendere.
È Pasqua in cui ridire: ”Quest’anno servi, l’anno prossimo figli di libertà“.

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