Fiabe

Bellafronte

C’era un ragazzo che aveva finito la scuola, e il padre gli disse: “Studiare hai studiato, ti manca di fare un viaggio per conoscere il mondo e cominciare a fare commercio, per guadagnarti la vita”. Gli diede ventimila scudi d’oro per comprare mercanzie, e lo fece imbarcare su una nave che partiva per il giro del mondo.

Al primo porto, c’era una bara sulla riva del mare, e la gente che passava ci metteva un soldino di elemosina.

Ma perché non lo portate al cimitero quel morto? – chiese il ragazzo. – Fatto è che è morto povero e pieno di debiti. Chi passa gli dà un soldo, e quando tutti i debiti saranno pagati potremo seppellirlo. Qua si usa così. – I debiti li pago io, e voi portatelo subito al cimitero e mettetelo sotto terra -. Così fu fatto, e il ragazzo restò senza un quattrino, per cui se ne tornò a casa a tasche vuote. – Come mai già di ritorno? – chiese il padre. – I pirati hanno assalito la nave e m’hanno preso tutto, – disse il giovane. – Se non altro sei vivo – disse il padre – e puoi sempre rifarti. Ecco altri settemila scudi e fanne buon uso.

Il ragazzo si imbarcò un’altra volta, e in mezzo al mare videro un bastimento di turchi, che come si sa sono gente da non fidarsi. Lui pensò che era meglio farseli amici, e andò sulla loro nave a riverirli. – Da dove venite signori miei, signori miei? – chiese, tutto gentile. – Dall’oriente veniamo, in occidente andiamo – dissero quelli. – E che portate? – Solo questa bella ragazza con i capelli neri, le labbra di rosa e gli occhi verdemare. – E a chi la portate questa bellezza? – A chi se la compra per schiava. È la figlia del re dei turchi, e ce la siamo rubata. – La compro io, – fece il giovane. – Vanno bene settemila scudi? – E’ giusto il suo prezzo – dissero i corsari.

Il giovane prese con se la bella ragazza, e appena a terra la portò in chiesa per darle il battesimo cristiano. Poi se la sposò, perché al primo sguardo s’era innamorato, e andò a casa di suo padre. – Che mi porti, figlio mio? – Un gioiello, una gemma! – disse il figlio. – Eccola qua: ha capelli neri, labbra rosa e occhi verderame, e per di più è figlia di re. I pirati me l’hanno venduta e io l’ho sposata e le ho salvato l’anima con il santo battesimo. – Così sprechi il mio denaro? E’ questa la mercanzia che hai comperato? Vattene via, non ti voglio più per figlio -.

Quei due, poveretti, non sapevano come fare per campare la vita. Ma la figlia del re dei turchi ebbe un’idea: siccome sapeva fare certe belle pitture, mandò il marito a venderle al mercato, e così mettevano insieme pranzo e cena.

Intanto il re dei turchi si disperava, perché quella figlia era la luce dei suoi occhi, e aveva mandato navi e soldati a cercarla. Una di queste navi capitò nel paese dove i due sposini erano andati ad abitare, e i turchi scesero giù per fare una passeggiata al mercato. Là il giovane vendeva le pitture di sua moglie, che andavano a ruba, e loro, quando le videro, subito pensarono che solo la figlia del sultano poteva averle fatte. – Chi è che dipinge così bene, brav’uomo? – chiesero al giovane. – Mia moglie, signori, è tutta opera sua. – Allora portateci da lei, che vogliamo ordinare delle pitture -.

Lui li portò, e loro presero la figlia del re e la trascinarono via a forza. Il poveretto pianse e si lamentò per un giorno intero. Poi andò al porto per vedere se qualcuno voleva prenderlo a bordo, e trovò solo un vecchio su un battellino, che gli disse: “Perché non vieni con me a pescare, figlio caro? Mi tremano le mani e ho bisogno d’aiuto”. “Volentieri vengo, nonno, e anzi facciamo un patto: che nella vita, d’ora in poi, divideremo tutto quello che ci tocca, in male o in bene. E per cominciare possiamo dividere la nostra cena, perché io da ieri che non mangio”. Così cominciarono a navigare, solo che una tempesta li prese e li portò fino in Turchia. I turchi li portarono davanti al loro re, che portava il turbante e sedeva su un divano con tutte le sue mogli intorno. Lui li prese come servi e mandò l’uno e l’altro a lavorare nel giardino. In quel palazzo non si viveva male, e anzi c’era da riempirsi la pancia e da stare allegri, anche a fare i servitori. Il vecchio, poi, sapeva costruire violini, chitarre, flauti, insomma tutti gli strumenti musicali, e il giovane li suonava.

La figlia del re, intanto, se ne stava chiusa in una torre in fondo al giardino, e per punizione d’essersi sposta con un cristiano non la facevano uscire. Quando sentiva il giovanotto che suonava e cantava, sospirava sempre: “ Anche mio marito Bellafronte suonava e cantava così! Possibile che sia lui?”. Finché un giorno riuscì a sbirciare dalle persiane e vide che era proprio il suo sposo quello che cantava. Allora mandò le sue serve in giardino, con una gran cesta e disse: “Dite a quel giovane di nascondersi nel cestone, copritelo di fiori e portatelo qui”. Quando uscì dalla cesta, figuratevi le meraviglie! Finalmente aveva ritrovato sua moglie, e ora non doveva pensare ad altro che scappare. La principessa fece caricare su una nave tutte le sue ricchezze, e tra oro e perle e gemme ce n’era abbastanza da comprare un regno. Poi lei e Bellafronte si nascosero nella stiva e partirono. Quando furono in alto mare, però, il giovane si ricordò del patto che lo legava al vecchio pescatore. – Moglie mia, devo tornare indietro, anche a costo della vita, perché ho dato la mia parola, e quella vale oro.

Così tornarono indietro e videro il vecchio che li aspettava in riva al mare. Ora sì, potevano partire!

Caro amico, – disse il giovane, – di questa ricchezza te ne tocca la metà. – Certo, – disse il vecchio, – ma non dovevamo dividere tutto? Allora mi tocca la metà di tua moglie. – Per carità, – rispose Bellafronte, – i soldi ve li do tutti, ma mia moglie la voglio tutta per me. – Sei un bravo ragazzo. Tieniti pure tutto, moglie e oro. Devi sapere che io sono quel morto debitore che tu hai fatto seppellire. La fortuna che ora ti tocca da quella buona azione. E adesso addio, e sii felice -. Lo benedisse e sparì.

Il giovane e sua moglie tornarono a casa e vissero in pace, perché oramai erano straricchi e si potevano permettere un po’ di tranquillità.

E chi più ne ha più ne metta:

la storia è finita,

un soldo mi spetta.

(fiaba popolare istriana)

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