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Shoah In Italia.

Gli Ebrei in Europa e in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale: solo perseguitati?

Quadro di Valerio Doddi
Quadro di Valerio Doddi

La Shoah in genere, non esclusa l’Italia, è innegabilmente una storia da brividi garantiti! Sorge spontanea la domanda: “ma come è stata possibile tanta violenza perpetrata ai danni di tanti civili indifesi, primi fra i quali gli Ebrei?”. Con la “giornata della memoria” (26 gennaio 2019) si è voluto rievocare un capitolo raccapricciante, “feroce e spietato” (Presidente Mattarella, 27 gennaio 2020) nella storia dell’Europa al tempo del nazismo. Fatti fuori milioni di esseri umani, cittadini indifesi nella stragrande maggioranza dei casi: tra il 1930 e il 1945, in Europa, sono stati sterminati oltre 15 milioni di persone, di ambedue i sessi e di tutte le età, tra cui 5-6 milioni di Ebrei. Per quest’ ultima categoria è stato coniato il termine Olocausto, o nel gergo ebraico Shoah = “catastrofe, distruzione”.
L’eliminazione di circa 2/3 degli Ebrei, residenti in Europa a quel tempo (9/10 milioni), venne ideata e portata avanti dalla Germania nazista, con un accanimento sempre più crescente, specialmente in Olanda, dopo la pubblicazione di una lettera pastorale dei Vescovi Olandesi. Ebbe inizio nel 1933 con la segregazione degli ebrei tedeschi, allargandosi poi a tutta l’Europa, caduta in mano alle forze del Terzo Reich. Raggiunse il suo culmine nel 1941 con lo sterminio organizzato: eliminazioni di massa sul territorio e nei campi di sterminio. Con questa mossa le autorità naziste speravano di poter raggiungere la “soluzione finale della questione ebraica”. Per la sua efferatezza e freddezza di esecuzione, per le sue dimensioni e caratteristiche organizzative dispiegate dalla macchina distruttiva nazista (con la versione fascista in Italia), è difficile trovare nella storia altri paragoni del genere.
L’Olocausto in Italia (la Shoah italiana) segue due fasi distinte: la prima dal 1938 al 25 luglio 1943 con la “persecuzione dei diritti degli ebrei” (e di altre minoranze etniche) sotto il regime fascista, cui seguì la “persecuzione delle vite degli ebrei “, dall’ 8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, sotto l’occupazione tedesca e la Repubblica sociale italiana. Circa 7.500 ebrei italiani persero la vita: il 13% circa dei 58.412 cittadini italiani di origine ebraica. Oltre alle vittime ebree dell’Olocausto è bene aggiungere anche i 10.129 deportati politici italiani e i 40.000-50.000 Militari internati, molti dei quali perirono nei campi di lavoro forzato in Germania.
In Italia, gli ebrei perseguitati poterono però contare su una omertà diffusa e sull’attiva solidarietà non solo di singoli individui ma anche di organizzazioni clandestine di resistenza come la Delasem e di settori significativi della Chiesa Cattolica. Una solidarietà o disobbedienza civile che si dimostrò capace di offrire una protezione efficace a migliaia di ricercati fino alla liberazione o di favorire la loro emigrazione clandestina in Svizzera.
Lo stato israeliano, da vari anni, è impegnato ad arricchire continuamente il suo censimento dei cosiddetti “giusti”, “Il Grande Memoriale dell’ Olocausto”, cioè delle persone che si son date da fare, con rischi enormi, a salvare la vita in pericolo di tanti ebrei, in fuga o anche nei campi di raccolta. E’ nata così l’ Enciclopedia dei Giusti tra le Nazioni, con l’ intento di mostrare “al mondo intero le possibilità enormi, anche nelle situazioni più estreme, di prendere iniziative di aiuto e soccorso”.
I “giusti” invisibili in Italia.
Si può dire con certezza che la storia del salvataggio degli Ebrei in Italia, con il contributo delle forze cattoliche rappresenta un aspetto importante della resistenza civile. Oltre alle tante storie reali di fughe e rischiosi patrocini, la loro narrazione rimane un capitolo tutto da scrivere. A soccorso terminato, il salvato e il salvatore hanno ambedue una storia precedente ed una successiva. Aspetti che finora la storiografia ufficiale non ha voluto affrontare, anche per le prevedibili difficoltà che avrebbe incontrato nella raccolta di testimonianze personali e di altri dati significativi.
Il dibattito storiografico sulla Chiesa Cattolica e la Shoah è stato quasi completamente assorbito e offuscato dal ruolo, svolto dalla Santa sede e, in particolare, da Pio XII. Tra i numerosissimi libri, articoli e scritti vari, ricordiamo David G. Dalin, Un rabbino americano riabilita Pio XII. Il titolo allude alla cosiddetta “leggenda nera” e cioè al silenzio di papa Pacelli, riportato a galla dal dramma Il Vicario, di Rolf Hochhuth nel 1963. Più recentemente il ruolo di Pio XII è stato approfondito dalla conferenza a porte chiuse che si è svolta a Yad Vashem (Israele) l’8-9 marzo 2009 tra studiosi della Santa Sede ed esperti israeliani: “Pio XII e l’ Olocausto. Lo stato attuale della ricerca”. Gli archivi nazisti rivelano che il reich era ben consapevole della posizione sostenuta da Papa Pio XII: “Egli sta chiaramente parlando per conto degli ebrei…Sta virtualmente accusando il popolo tedesco d’ ingiustizia verso gli ebrei e si fa portavoce dei criminali di guerra ebraici”. Sono emersi due punti principali: anzitutto l’azione di Pio XII e, in secondo luogo, il rifugio offerto agli ebrei in conventi e monasteri a Roma (circa 200 su un totale di 750 – 3. 000 ebrei circa trovarono rifugio a Castelgandolfo) e nell’ Italia in preda al conflitto fra partigiani e fascisti e tedeschi (circa 141 su circa 600), rei di aver accolto un numero notevole, anche se imprecisato, di ebrei in fuga.
Le storie di singoli, di intere famiglie ebree sopravvissute E della sottintesa accoglienza offerta da comunità religiose, da molti sacerdoti diocesani (non rari anche i casi “controcorrente” di militari italiani o componenti della Resistenza) permettono di ricostruire i tragitti seguiti a quel tempo verso l’ agognata sicurezza. Nelle regioni di confine gli Ebrei si muovevano da est verso ovest, da nord verso il centro (verso Pisa e Firenze) o il Sud, secondo le alterne vicende dei vari conflitti militari. Molti Ebrei naturalizzati in Polonia, Ungheria, Austria e Iugoslavia, in seguito all’ occupazione nazista cercarono di raggiungere Roma attraverso Trieste, oppure Genova con l’intento di imbarcarsi verso l’America. Molti cercarono rifugio in Svizzera. Tutto questo avvenne con l’aiuto di numerosi parroci, trascorrendo periodi più o meno lunghi in case religiose vicino al confine o in luoghi di transito.
Accanto all’azione diplomatica, svolta dalla Santa sede, si era attivata un’altra diplomazia: sotterranea, operativa e ramificata attraverso gli interventi sostenuti da singoli vescovi (in special modo di Firenze, Genova, Assisi..), affiancati da numerosi sacerdoti e laici motivati e sensibili ai rischi corsi dalla popolazione ebrea, soprattutto nelle regioni del Centro/Nord. Conventi, congregazioni e organizzazioni umanitarie costituirono una rete di volontari a vario titolo, senza un mandato ufficiale ed esposti al pericolo di rappresaglie continue. Resta il fatto che mentre circa l’80% degli ebrei europei è scomparsa durante la seconda guerra mondiale, l’80% degli ebrei italiani furono salvati.
Non esiste differenza tra azioni di salvataggio: i “giusti” vanno collocati all’ interno delle azioni di salvataggio e queste sono tali anche se compiute dalle tante persone non ancora riconosciute come “giusti”. La sfida tuttora aperta è il passaggio dagli elenchi e schede di salvataggio ad una ricostruzione storiografica maggiormente inclusiva, dalla storia personale ad una storia molto più grande, comprendente sia singole persone come collettività organizzate. L ‘ invito di diverse personalità del mondo laico e cattolico a coltivare la memoria di tali dissesti può cadere nel vuoto se non è sostenuto da racconti credibili e inclusivi.

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