Normanna AlbertiniRacconti Brevi

Bamba Sissoko: profugo

Era la fine di novembre del 2012 e io insegnavo lingua italiana agli adulti stranieri.
In classe, insieme a persone provenienti da ogni latitudine, avevo anche alcuni minori profughi, fuggiti l’anno prima dalla Libia in fiamme. Tutti ragazzini svegli, motivati, desiderosi di impegnarsi per ottenere quel riscatto sociale ed economico che avevano inseguito fin da bambini.
Stavo lavorando sul passato prossimo e li spronavo a coniugarlo per i verbi più utilizzati. Mi rivolsi dunque a uno di loro: “Bamba, mi dici il passato prossimo del verbo ridere?”
Un attimo di indecisione, poi: “io ho…io ho…io ho…risotto!”
A distanza di sei anni, quei ragazzi hanno quasi tutti terminato il loro percorso scolastico – nonostante qualcuno fosse partito completamente analfabeta – lavorano e avrebbero tanto da insegnarci in termini di resistenza e forza. E onestà. La storia di Bamba ne è un chiaro esempio.

C’è un fiume, il Senegal, che scorre attraverso una regione collinosa e dà vita a uno dei paesaggi più belli del Mali occidentale. I bacini del Senegal e del Niger furono la culla dei grandi regni dell’Africa medievale, quelli del Ghana, del Mali, di Tekrour. L’espansione coloniale della Francia portò alla loro disintegrazione, mentre l’economia commerciale, volta a trasferire materie prime e prodotti agricoli dagli insediamenti alle città francesi, determinò più avanti i primi insediamenti idro-agricoli sul fiume Senegal. La Francia cercò di trasformare il Waalo (delta e bassa valle) in un paese di piantagioni (cotone, canna da zucchero, tabacco), soprattutto perché aveva perso Santo Domingo. Purtroppo, i piani di occupazione agricola messi in atto dai colonizzatori distrussero gli antichi metodi di coltivazione e allevamento, più in sintonia con la natura dei luoghi, e si conclusero con disastrosi insuccessi. Ora, se si percorre l’unica strada asfaltata del paese, che da Bamako porta a Kayes, sono le acacie a dominare il paesaggio semidesertico a perdita d’occhio. Il fiume Senegal ha origine dalla confluenza di due fiumi, Bafing e Bakoy, a Bafoulabé. Da questa zona, dal villaggio di Koumakary, proviene Bamba Sissoko, ragazzo maliano arrivato a Castelnuovo ne’ Monti dalla Libia, fuggendo dalla guerra del 2011. Di etnia Khassonke, originata dalla mescolanza di Peuls e Mandingues (le preferite dai commercianti di schiavi), Bamba parla benissimo cinque lingue del Mali, poi il francese, l’italiano, e se la cava anche con l’arabo e l’inglese.
“Sono partito dal Mali per la Libia a marzo del 2010, dopo l’improvvisa morte di mio padre. Io, che sono il figlio maggiore, mi sono consultato con mia madre Yassa e abbiamo deciso che toccava a me partire. Dovevo aiutare lei, gli altri miei quattro fratelli e le mie sorelle. Avevo solo 15 anni. Dal Mali me ne andai in pullman, poi mi spostai su dei camioncini; in Algeria e in Libia utilizzai pullmini, taxi, ma, soprattutto, le mie gambe e i miei piedi, e non è facile nel deserto”.
In alcuni gruppi etnici che popolano questa parte del Mali, la migrazione dei giovani è incoraggiata. Fulani, Soninke, Khassonke…sono tutti in viaggio. È un bisogno, ma è diventato quasi un rito di passaggio all’età adulta. La popolazione si affida all’emigrazione, non allo Stato assente e, dagli anni ’70, la maggior parte dei servizi sociali e delle infrastrutture sono stati finanziati proprio dai migranti e sono tuttora mantenuti con le rimesse che essi continuano a inviare. Kayes è sempre stato un luogo di passaggio. Precedentemente nota come la “città della ferrovia”, in riferimento al suo treno merci e passeggeri che collegava Bamako a Dakar, questa città di due milioni di abitanti ha perso la sua bellezza per la distruzione delle strade del Sahel e per la siccità. I cambiamenti climatici qui si fanno sentire in modo pesante.
I villaggi che dipendevano esclusivamente dalla ferrovia stanno morendo, i loro abitanti se ne stanno andando. Eppure, Bamba ricorda con nostalgia la sua vita nel villaggio. “Nel 2001, a sei anni, cominciai la scuola elementare. L’edificio era una capanna e facevamo i calcoli con dei bastoncini di legno. Poi, giocavamo a calcio con un pallone ideato da noi, infilando dei vestiti dentro una calza. Mio padre era giardiniere e io, dopo la scuola, andavo a dargli una mano. Tra i nove e i quindici anni lavoravo già come un adulto. Alla scuola del villaggio ho frequentato fino alla quarta elementare e basta. Certo, la mia famiglia era povera, ma era bella, molto unita”.
A Kayes, la quasi totalità delle infrastrutture è opera dei maliani che lavorano all’estero. Servizi di fornitura di acqua potabile, scuole, servizi sanitari, elettricità: la regione deve tutto a loro.
Bamba, dunque, arrivò in Libia, come altri giovanissimi migranti della sua regione, e cominciò a lavorare: ”Trovai lavoro come giardiniere. Tutto bene, mandavo i soldi a casa, finché non scoppiò la guerra. La paura fu tremenda. Per molte notti dormimmo fuori per evitare le bombe sganciate sugli edifici. Ma la paura più grande era quella di essere sequestrati dai libici. Sapevamo che prendevano le persone per farne dei soldati, oppure caricarli sui barconi e spedirli in mare…Infatti, mi catturarono con gli altri e fummo caricati tutti su un barcone. È stato molto difficile; avevamo poco cibo e acqua; il viaggio durò due giorni. Qualcuno stette molto male, ma nessuno morì. Arrivammo a Lampedusa, dove trovammo acqua, cibo, vestiti e cure mediche. Dopo, i minorenni furono divisi dai maggiorenni: noi minori per quaranta giorni restammo a Lampedusa, poi ci spostarono a Massa Carrara, nel campo della Croce Rossa Italiana. Eravamo in ottanta. Da Massa Carrara ci condussero in sei a Regnano di Viano, alla comunità per minori di Piolo. I responsabili ci iscrissero all’Istituto Cattaneo di Castelnovo ne’ Monti ( mi ritrovai in un liceo scientifico!) e al corso di italiano. Posso dire che tutti gli insegnanti ci agevolarono moltissimo, in particolare l’insegnante che ci insegnò le prime parole di italiano. Anche i miei compagni di classe si davano da fare per aiutarmi. Il corso di lingua italiana del Ctp, poi, che era vicino alla scuola media, era fantastico! Prima di arrivare in quell’aula, pensavo di essere l’unico ad avere difficoltà, invece lì era pieno di ragazzi e adulti di ogni nazionalità con i miei stessi problemi! Posso solo ringraziare l’insegnante per ciò che ha fatto per tutti noi”. Bamba si fermò a Castelnovo fino al conseguimento del diploma di terza media e alla qualifica del terzo anno delle professionali. Poi, ormai maggiorenne, trovò lavoro per un anno a Reggio Emilia, in una azienda metalmeccanica. Di nuovo si mise a cercare e riuscì a farsi assumere a Novellara come metalmeccanico a tempo indeterminato. Non contento, si rimise a studiare: meccatronica alle serali a Reggio Emilia. Poi gli venne un’idea: costruire, con i suoi soldi, un pozzo per l’acqua nel suo villaggio. “L’idea del mio pozzo è del 2016. Nel villaggio, le donne andavano a prendere l’acqua a più di un chilometro di distanza e io ho pensato: se scavo un pozzo vicino alle case faranno meno fatica, sarà un bene per tutta la comunità allora siamo partiti. Ci abbiamo messo un anno per trovare l’acqua, perché loro scavavano a mano! Qualcuno mi diceva di smettere e che stavo sprecando i soldi per niente, ma io ho detto di no. Vero che spendevo molti soldi, ma era per un bene che sarebbe andato a tutti. Del pozzo avevo parlato con un mio insegnante. Quando abbiamo trovato l’acqua, lui si è offerto di presentare il mio progetto alla scuola per vedere se era possibile trovare un aiuto per costruire un acquedotto. Ora, l’acquedotto è in costruzione, con tanto di pannelli fotovoltaici controllati dal computer e da qui verifichiamo se laggiù, in Mali, funziona tutto. Abbiamo un impianto con batterie che accumulano energia mentre i bambini giocano sulle giostre producendo elettricità.
Sono molto felice perché sto aiutando l’umanità! Io penso che la situazione dell’Africa dipenda dagli africani: se si impegnassero a migliorarla, allora l’Africa migliorerebbe, se invece non lo fanno, resta tutto così. Dare la colpa agli altri è inutile: gli altri sono progrediti e anche loro devono evolversi senza incolpare nessuno. Penso anche che la politica, la democrazia, la civiltà e la libertà servano per migliorare la vita di tutte le persone, per fare stare bene tutti e perché tutti abbiano gli stessi diritti e doveri. Qui mi sento integrato e credo che il razzismo riguardi le persone, non i popoli. Ho trovato belle amicizie in Italia, ho studiato, lavoro, ho imparato un’altra lingua. Ma mi manca la mia famiglia, il clima…Credo che, prima o poi, tornerò laggiù per aiutare il Mali a migliorare. E poi, veramente lasciatemelo dire: qua nella pianura padana c’è troppo caldo, altro che Africa!”

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