Dario Antonini e Luca Toffolon racconti breviRacconti Brevi

De Cada Dia seconda parte

DE CADA DIA

Il progetto, ancora in itinere, prevede un terzo capitolo. Non è completo, se mai potrà esserlo…

La deportazione, la rotta migratoria e la vita in clandestinità negli U.S.A., non necessariamente in quest’ordine.

Il progetto è ancora lungo, ancora in corsa, perché così è anche la migrazione centroamericana. In cerca di una chiusura, di una fine, laddove la chiusura e la fine non ci sono, ma solo un fiume umano a cui non si può impedire di scorrere e una infinità di vie di fuga.

Le rotte migratorie sono i segni e le scritture di un passaggio nei luoghi e nelle geografie umane, il riconoscimento dell’esistenza degli indocumentados, non tra i numeri, le statistiche o i carteggi, ma tra le loro storie, le loro fotografie e i loro immaginari.

Rotte migratorie come mappe inscritte in una geografia nuova, come nella scacchiera di un gioco in cui i partecipanti vivono nella illusione di riscrivere regole difficili da cambiare.

DE CADA DIA non è una interpretazione, ma una costruzione.

In questo reportage fotografico ci siamo ritrovati a comporre gli elementi e i frammenti che sono emersi dalle osservazioni, dalle storie, dai racconti, dagli incontri condivisi, dalla co-esistenza. Questi elementi non pretendono la verità, anzi, si propongono come una finzione, o meglio, rinviano all’incompletezza, poichè la ricostruzione e l’interpretazione non possono essere esaustive in modo assoluto.

Questo progetto sulla migrazione si legge come un romanzo e la sua analisi è un atto poietico, un fatto artistico e creativo dietro al quale sta uno sconvolgimento del concetto abituale di temporaneità. Tutto accade in un giorno, che è ogni giorno, in un luogo che attraversa l’area geografica ridisegnata dalle rotte migratorie, dal Guatemala agli USA.

Non è la prossimità temporale che stabilisce la contemporaneità di più eventi, ma è l’atto interpretativo che li accosta, facendo emergere il proprio senso nello spazio della loro tensione.

È evidente che l’opera del raccontare esperienze passate è, sempre e in ogni caso, un’opera di costruzione e ricostruzione. Ciò che viene costruito e ricostruito sono delle rappresentazioni nuove. L’utilizzo dell’immagine non è solamente uno strumento di selezione degli elementi che passano dallo sfondo alla cosa, o dal quadro esperienziale a quello narrativo, ma ciò che evoca una loro trasformazione, un cambiamento di stato e di forma. È una trasformazione che avviene nel momento in cui, con il racconto, si attiva la costruzione della rappresentazione dell’esperienza.

 

Foto 2: Ciudad Guatemala, 2012. Sguardo fiero e risoluto. Ciò che serve per rinnovare il coraggio di una scelta difficile.

 

IN ATTESA DEL VIAGGIO

 

Foto 3: Tapachula, 2015. Sporcizia, abbandono, solitudine in attesa di riprendere il viaggio.

 

Foto 4: Ciudad Mexico, 2015. Controllo dei documenti sotto lo sguardo angelico e fiducioso del figlio.

 

 

“Somos como pajáritos vamos donde queremos. No tenemos nidos. Sólo tenemos piernas para caminar, y no alas para volar”.

Josè Omar

 

“Siamo come uccellini, andiamo dove vogliamo. Non abbiamo nidi. Abbiamo solo piedi per camminare, e non ali per volare”.

Josè Omar

 

Foto 5: Ixpetec, 2015. Stanchi, affamati, sporchi ma insieme per farsi forza e coraggio verso un futuro incerto e pauroso.

 

Foto 6: Tapachula, 2005. Non si entra nel negozio, per paura di essere derubati si serve il cliente attraverso le sbarre.

 

Foto 7: Nuevo Laredo, 2015. Da dentro la casa di accoglienza Nazareth, degli scalabriniani, dietro la porta da dove si è entrati, si da uno sguardo verso l’esterno. Appena sotto la casa c’è il Rio Bravo, di fronte si vede e si sente il Texas, sede del “sogno”.

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