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Nostalgia

Nostalgia, Anoranza, Saudade, Homesickness, Nostalgie, Hoctalbia, in tutte le lingue esiste questo termine che si può tradurre anche con smarrimento, disorientamento, disadattamento, ed è quello che tutti provano andando all’estero e tornando dopo periodi abbastanza lunghi.

Basta chiedere agli studenti che frequentano l’Erasmus e vedere il loro entusiasmo nel raccontare l’esperienza mitigato dallo scoprire che non si riescono a raccontare le emozioni provate. Il “mal d’Africa” ci viene raccontato dai libri di viaggi insieme ad altri “mali” di altre mete più o meno esotiche.

Anch’io ho descritto il senso di straniamento stando di là e tornando di qua dalla frontiera, e mi sono spesso domandato se per i migranti, fuggiti da guerre o carestie, esista e se si, in che modo questa nostalgia.

Non sarà certamente dovuta al clima di violenza e di guerra da cui sono fuggiti ma in che modo ricordano, stando per il momento al riparo in terre straniere che li accolgono mal volentieri, la vita nel loro villaggio, la minestra che la mamma preparava, i luoghi del gioco, l’albero sotto il quale si sono scambiati promesse d’amore?

Guardo i loro occhi e ho sempre visto un’ombra a me sconosciuta, che siano i ricordi dai quali nessuno può o vuole fuggire?

Dimenticare, obliare ciò che si è stati è come annullare l’identità che ognuno porta con se.

Andrea Cantaluppi


 

Homesickness, añoranza, saudade, nostalgia, nostalgie, hoctalbia. Every language has this term. It can be translated with the words dismay, uncertainty, maladjustment, and these are feelings experienced by every person who has been abroad for a long time and then comes back to home.

You just have to ask to the Erasmus students, they will tell you with enthusiasm, which is softened from the simple discovery of not being able to describe the excitement they felt.

Lots of travel books describe the “African bug” together with others exotic places “bugs”.

I described on my own the sense of dizziness in my travel in and outside the border, and I often asked myself if the immigrants, who run away from wars and famines, feel that sensation.

That feeling for sure it won’t be due to the climate of violence and war which they escaped from. In which way they remember, staying for the moment in a safe place which host them unwillingly, the life of their village, the soup of their mother, the places of their games, the tree under which they exchanged each other love promises?

I look into their eyes and I always see an unknown shadow, will they be the memories anybody can or want to escape from?

Forget what you were is like deleting the identity that one takes with himself.

Andrea Cantaluppi


 

TORNARE A CASA DOPO AVER VISSUTO IN UN ALTRO PAESE NON E’ FACILE COME SEMBRA

Tornare a casa definitivamente dopo un periodo passato all’estero ti fa sentire sovraeccitato, ti fa credere che non ci sia niente di impossibile, ti fa riempire i polmoni d’aria, ti rilassa, ti tranquillizza. È allegria, energia, una celebrazione continua. Sono abbracci a non finire, feste di bentornato continue, e una tranquillità che ti stordisce. Ovviamente, più sei stato distante e a lungo via, e più intense saranno queste sensazioni.

Allo stesso modo sarà enorme la presa di coscienza della realtà che ti prende dopo essere ritornato. Gli esperti lo chiamano “shock culturale inverso”. “Credo non esista un modo di spiegare questo sentimento a chi non lo ha vissuto. È come una caduta libera, come vagare placidamente senza meta. Ti senti fuori luogo.”, spiega Corey Heller, nel suo articolo “Returning home after living abroad” (Tornare a casa dopo aver vissuto all’estero), pubblicato su Multilingual Living.

Inizia quando ti rendi conto (in prima persona, come direbbero le nonne) che la vita è continuata mentre tu non c’eri. È normale. Tuttavia, fino ad ora, non ti c’eri confrontata. Non vivevi il cambio di costumi ed abitudini, la chiusura dei bar di sempre o l’apparizione di parole come matrimonio, ipoteca o bebé nel vocabolario dei tuoi amici. E tu, che apparentemente sei di nuovo a casa, dove tutto è facile e ben rodato, sfumata l’euforia iniziale, ti ritrovi ad iniziare il processo di riadattamento ad una vita che credevi quella di sempre. In realtà è una vita ancora più nuova di quella che ti sei lasciata indietro.

È ancora più grande la sfida della ricostruzione se sei stata molto tempo fuori e molto distante; il rischio è quello di non sentirti mai più a casa. “Se rimani in un altro paese per molto tempo, non puoi più tornare a casa. Diventi uno straniero permanente, non sei né abbastanza locale né abbastanza integrata a casa tua”, è scritto nell’articolo “Casa dolce casa? Gestire lo shock culturale inverso”, pubblicato nella rivista Forbes. Così ci sei tu che provi a capire come sia possibile che la sensazione che sia tutto come prima conviva con la realtà che è cambiato tutto, incluso te stesso. ”Vivere in un altro paese ti cambia per sempre. Non sarai mai più lo stesso e non vedrai mai più le cose allo stesso modo”, secondo la Heller.

Il tempo fugge per tutti, e i cambiamenti che implica lo scorrere del tempo lo apprezzi di più in quelli che sono rimasti, e loro in te, che te ne sei andato. Di fatto, molte volte si aspetteranno che ti comporti come hai sempre fatto. In questo senso la University Studies Abroad Consortium, dell’Università del Nevada, raccomanda di “ritornare alla vita del luogo di origine senza perdere i valori che ti hanno formato mentre ti trovavi all’estero, e di resistere alla tentazione di tornare al tuo antico io per soddisfare le aspettative degli altri”.

Tra tanto sconcerto, ricerca di te stesso e più cali spirituali di quelli che ti aspettavi, un giorno ti ritrovi a pensare con nostalgia alla città che ti ha accolto e dalla quale volevi tanto andare via. Ti manca quella che era casa tua negli ultimi tempi, ma che non sei mai riuscito a sentire come tale, nello stesso modo in cui ora non senti tua la casa di sempre. Insomma, ti ritrovi nella sindrome del viaggiatore eterno, uno di quelli che se ne sono andati una volta e ora non sentono proprio il luogo di origine, uno di quelli che non sanno a quale luogo appartengono e quale posto possono considerare come casa propria.

Nel suo articolo, Heller riflette su questo sentirsi eternamente fuori di casa e prova a porvi rimedio. “Non mi faccio più la domanda sul fatto di tornare a sentire la sensazione completa di essere a casa. Ora mi chiedo come posso sentirmi a casa nel luogo in cui mi trovo ora, con queste esperienze, incontrando così, in ogni momento, il modo di tornare a casa”.

Maria Sanz


 

Volver a casa después de vivir en otro país no es tan fácil como parece

Volver a casa para quedarse después de una tempo-rada expatriado es sentirse pletórico, creer que no hay nada imposible, llenar de aire los pulmones, relajado, sin dificultad para respirar. Es alegría, energía, un subidón constante. Son abrazos a destajo, fiestas continuadas de bienvenida y una placidez que atonta. Normalmente, cuanto mayor haya sido el tiempo fuera y la distancia, mayores serán estas sensaciones.

Igual que mayor será el golpe de realidad sorprenda a un expatriado retornado. Los expertos lo llaman Cho-que Cultural Inverso. “Creo que no hay realmente una manera de describir este sentimiento a quienes no lo han vivido. Es como una caída libre, como flotar sin rum-bo en unas aguas tranquilas. Te sientes fuera de lugar”, explica Corey Heller, en su artículo Returning Home After Living Abroad (Volver a casa tras haber vivido en el extranjero), publicado en Multilingual Living.

Comienza cuando compruebas (en tus carnes, que dirían nuestras abuelas) que la vida ha seguido mientras tú no estabas. Era obvio, por supuesto. Sin embargo,

hasta ahora, no te afectaba. No vivías el cambio de costumbres y rutinas, el cierre de los bares de siempre o la aparición de palabras como boda, hipoteca o bebé en el vocabulario de tus amigos. Y tú, que aparentemente estabas en casa, donde todo iba a ser fácil e ir rodado, te encuentras con que, desaparecida la euforia inicial, tie-nes que comenzar el proceso de readaptación a una vida, que creías la de siempre, pero que resulta ser todavía más nueva que la que acabas de dejar atrás.

Y lo mismo: cuanto mayor haya sido el tiempo fuera y la distancia, mayor será la tarea de reconstrucción y el riesgo de no sentirte nunca como en casa. “Si te quedas mucho tiempo [en tu país de acogida], nunca puedes volver a casa. Te vuelves un extranjero permanente, nunca lo suficientemente local y nunca satisfecho en casa”, explica el artículo ¿Hogar Dulce Hogar? Gestionando el Choque Cultural Inverso, publicado en la revista Forbes.

Así que, ahí estás tú, intentando entender cómo es posible que la sensación de que todo sigue igual conviva con la realidad de que todo ha cambiado, incluido tú. “Vivir en otro país te cambia para siempre. Nunca serás el mismo y nunca verás las cosas de la misma manera”, analiza Heller.

Tempus fugit para todos, y los cambios que implica el paso del tiempo, tú los aprecias más en los que se quedaron y ellos en ti, que te marchaste. De hecho, muchas veces esperarán que te comportes como siempre habías hecho. En este sentido, la University Studies Abroad Consortium, de la Universidad de Nevada, reco-mienda “intentar ajustarse a la vida en el lugar de origen sin perder las ideas y valores que te formaron mientras estuviste fuera, y resistir a la tentación de volver a tu antiguo yo para satisfacer las expectativas de los demás”.

Entre tanto desconcierto, búsqueda de sitio y más bajones anímicos de los que te esperabas, un día te des-cubres pensando con nostalgia en esa ciudad de acogida de la que antes tanto querías salir. Echando de menos a la que fue tu casa en los últimos tiempos, pero que nunca llegaste a sentir como tal, de la misma forma que ahora no sientes este lugar. En definitiva, iniciándote en el síndrome del viajero eterno, de los que una vez se fueron y ahora no saben volver, de los que no saben a qué lugar pertenecen y a qué lugar pueden considerar su hogar.

En su artículo, Heller reflexiona sobre ese sentirse fuera de casa en todo momento y trata de ponerle reme-dio. “Ya no me hago la pregunta de si algún día volveré a tener la sensación completa de un hogar. Ahora me pregunto cómo puedo sentirme en casa en el lugar en el que estoy en este momento, con estas experiencias, encontrando, así, en cada momento la forma de volver a casa”.

Maria Sanz

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